Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

domenica 20 aprile 2014

Il corpo docile, Rossella Postorino

Milena è vulnerabile, lo è il suo corpo. Si nasconde dietro alte mura, quelle che ha costruito dopo che a tre anni l'hanno strappata via da quelle della prigione dove è nata.
Milena ama: ama sua madre, che ha avuto il potere di nascerla, così come ha quello di morirla; ama suo padre, la luce che brilla sporadica nei suoi occhi; ama Eugenio, primo compagno di culla, primo amico, primo amante, unica salvezza; ama Marlonbrando, il piccolo rom nato in galera che fra poco compirà tre anni e dovrà uscire e lasciare sua madre; ama Lou Rizzi, l'uomo che l'ha salvata dalla rabbia della folla, un giorno, davanti ai cancelli di Rebibbia. Milena ama. Ama i loro corpi, i loro odori.
Milena vuole: vuole spaccarsi in due e farli entrare dentro di sé, quei corpi. Abitarli, come Eugenio abita il suo da sempre. Ma il mondo di Milena è un mondo dove le cose esistono se le dici e lei è sempre molto attenta a non parlare. Trattiene il respiro ed è come se Roma lo trattenesse con lei: l'Aniene smette di scorrere, va in apnea. Il parco è ammanettato.
Milena tenta: tenta di liberare se stessa e i bambini di Rebibbia, quelli che hanno corpi docili, corpi per i quali ogni cosa è decisa da altri: mangiare, dormire, ammalarsi...
Milena, però, non esiste: fa le tesi dove altri scriveranno i propri nomi, culla bambini di altre madri.
Ed è questo che Rossella Postorino tira in ballo: la possibilità di esistere, di vivere, di essere, finalmente, su questa terra. Con lo stomaco, i piedi, le mani.
Un libro che ti ferisce, e poi ricuce gli strappi con l'abilità di un sarto. Che ti imprigiona, e poi ti schiaffa in faccia l'aria, la luce che ti stordisce e non sai dove andare. Uno stile che riesce a emozionarti davanti a un laghetto artificiale soffocato dai palazzi di periferia.

Chiusa l'ultima pagina ti accorgi quanta vita ci sia dentro al desiderio, così umano, di fare tana, di fare di ogni posto una casa. Dove casa è solo un altro corpo.