Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

mercoledì 9 agosto 2017

Almeno per un momento, di Giulia Romoli

Dall'altra stanza arriva un grido. Fuori è notte, il tuo orologio segna le tre e venti. Ti giri su un fianco, pensi che prima o poi  smetterà. Ma il grido si ripete. Aiuto. Per favore, aiutami. Schiacci la testa sotto il cuscino, le urla sono solo più sottili. Ti prego, ti prego, aiuto.
Ti alzi e ti accorgi che fa caldo in casa. Hai di nuovo dimenticato il riscaldamento acceso.  Lei non lo avrebbe fatto, lo avrebbe spento prima di andare a letto. Non dimenticava nulla, prima.
Nel corridoio le grida sono più forti, apri la porta della stanza e la sua figura ti appare deformata nell'oscurità, rigida, ha una mano alzata come per difendersi, indica l'orologio sul suo comodino.
Falle smettere, Marco. Vogliono uccidermi, falle smettere.
Stacchi veloce la presa dell'orologio e le luci si spengono. Lei ti crolla tra le braccia appena ti siedi sul letto. Ha la maglietta bagnata di sudore e i capelli incollati al viso.
Domani, ti riproponi, imposterò il timer sul termostato.
Alle undici di mattina suona il campanello.  Scatti in piedi appena ti accorgi che fuori c'è il sole e tu non dovresti essere lì, ancora a letto. Spalanchi la porta della sua stanza: lei non c'è. Il letto è rifatto alla perfezione, nemmeno un piega. Scendi veloce le scale, la cerchi in cucina, nel bagno. Il campanello suona di nuovo, lo avevi dimenticato, ti chiudi con un nodo la vestaglia, ti guardi di sfuggita allo specchio, sistemando i capelli grigi dietro le orecchie, sono troppo lunghi, il barbiere, maledizione, devi ricordarti di chiamarlo, ma cosa ti viene in mente, adesso, devi trovare lei, aprire la porta, devi...
Accanto a tua moglie c'è una donna giovane, in divisa. Le tiene una mano sulla spalla.
Farfugli qualcosa mentre la donna ti chiede se la persona accanto a lei è Marta Corbi. La signora abita qui? Mentre ti parla noti una macchia di fango sui pantaloni del pigiama di Marta. Glieli hai messi puliti solo ieri sera.
 Mi scusi,  mi scusi davvero, io credevo di avere chiuso a chiave la porta di ingresso, forse ho dimenticato, la notte dormiamo poco. Siamo soli, qui, io e lei.
Signor Corbi, sua moglie sta bene, ci hanno chiamato dal negozio di fiori qui vicino, la conoscono.
Sì, le piacciono i fiori.
Quando vi sedete a tavola lei non vuole mangiare. Non ho fame, dice. Incrocia le braccia e ti fa il broncio. Guarda che più tardi viene il dottore e glielo dico che non hai mangiato, minacci. Prendi la forchetta e infilzi due ravioli collosi, apri la bocca, le dici, di più, insisti, di più!
 Lei si volta lentamente, le braccia sempre incrociate sul petto magro, ti guarda con aria di sfida.
Di più non riesco, Katia.
Scagli il piatto contro il muro.
 Maledizione, non sono Katia, non lo vedi? Non lo vedi che sono tuo marito?
Lei ti guarda spaventata, trema dentro a quel corpo fragile e tu la abbracci. Non è colpa tua, le dici mentre la culli, non è colpa tua, ripeti.
Senti il suo corpo che trema sotto di te, sta piangendo.
Ricomincia  a urlare, quel grido ti lacera, ti tappi le orecchie ma non riesci a non sentirla, Katia, urla, la mia bambina, me l'hanno ammazzata. Torneranno, lo vuoi capire? Torneranno e prenderanno anche me, e non sai, non capisci quanto davvero sappia, quanto davvero si ricordi, sai solo che ti ferisce le orecchie, piantala!, le urli tu, inciampi in una sedia, quasi cadi, ma ti reggi al tavolo con le mani.
Corri in cucina e le prendi le medicine, versi l'acqua in un bicchiere, estrai il contagocce, una, due...cinque...dieci, conti veloce.  Ti fermi. Lei continua a urlare, dondolandosi avanti e indietro. Guardi quel corpo che si sta rimpicciolendo sotto il tuo sguardo,giorno dopo giorno, ora dopo ora.  Butti il contagocce nel lavandino e rovesci nel bicchiere tutto il flacone.
La afferri per le spalle. La devi piantare, Marta, verrà su tutto il vicinato, se non la pianti.
Portami da Katia, portami dalla mia bambina, ti prego!
Va bene, calmati e ti ci porto. Più tardi, però, quando ti sarai calmata. Ti porto io.
Cos'è?, ti chiede quando le  porgi il bicchiere.
Solo un po' d'acqua, Marta, bevi. Così ti calmi.
Ma è amara!
Ti sembra così perché hai pianto. Bevi.
Posa il bicchiere vuoto davanti a sé.
Sei un bravo ragazzo, ti dice.
Te lo disse anche il primo giorno che vi siete conosciuti. Chiudi gli occhi e lei ha quel vestito a fiori , era così bella, tu le sei accanto, felice, maledettamente vivo, pieno di futuro, per sempre, per un momento.  
Almeno per un momento.
Quando apri gli occhi fuori è di nuovo notte e il tuo telefono segna le due e quarantacinque. Sei sudato e ti fa male il collo, ti sei addormentato sulla poltrona. C'è caldo in casa, di nuovo hai dimenticato di impostare il timer del termostato. C'è anche silenzio, in casa.
Ti alzi e vai in camera, apri l'armadio e tiri fuori il completo di velluto, lo indossi e ti accorgi che ti sta grande, anche tu sei rimpicciolito. In bagno ti sistemi i capelli, li spingi indietro con il pettine.
Scendi le scale e ti avvicini al telefono. Componi il numero con lentezza.  Dopo molto tempo risponde una voce impastata dal sonno.
Pronto? 
Una pausa. Senti il rumore di un interruttore, un fruscio di vestiti, un bambino che piange.
Papà sei tu? Si sono svegliati i bambini, scusa, ma che succede?

Katia, riesci a dire alla fine. È per la mamma ...