Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

martedì 19 giugno 2018

Con un abbraccio senza tempo - Agota Kristof

Non riesco ad abbassare le braccia
da quando ti ho abbracciato
lo so sei ancora qui si è chiusa
la porta alle tue spalle eppure
tengo il tuo corpo tra le braccia

Lo so sei ancora qui immobile
Sto in piedi le ali nere del tempo
hanno già attraversato anni
dal suo oscuro passaggio furtivo
è scappato un minuto

Con un abbraccio senza tempo
da quando ti ho abbracciato
non riesco ad abbassare le braccia
sono immobile statua centenaria
chiuso tra le mie braccia di pietra
so che sei ancora qui




Foto: Francesco Romoli 


lunedì 22 gennaio 2018

Il libro dell'acqua, Eduard Limonov

Il 2018 per me è iniziato in Russia. O meglio, in Ucraina, a Kharkov. Qui comincia la storia di Limonov. Personaggio controverso, definito scrittore e politico russo. Ma dirlo così è riduttivo. Limonov me lo ha fatto conoscere Carrere, che ha scritto la sua splendida biografia. Passare a leggere Il libro dell’acqua è stato un passo necessario.
Eduard Limonov, il cui vero nome è Eduard Veniaminovich Savenkonasce, nasce in Russia come poeta. Diventa scrittore grazie al libro Io,Édichka, in Italia uscito con il titolo Il poeta russo prefisse i grandi negri, a cui seguiranno altri libri, sempre autobiografici. Nel 1991, dopo anni passati prima a New York, poi a Parigi, torna in Russia dove fonda un giornale, Limonka, e un partito , il Partito Nazional Bolscevico. Nel 2001 viene arrestato con l’accusa di terrorismo e traffico di armi. Viene rinchiuso nel carcere di Lefortovo, dove scrive proprio questo libro, Il libro dell’acqua.
La struttura è semplice: si tratta di piccoli brani dedicati a tutte le acque che ha visto e in cui si è bagnato nel corso della sua vita: dai mari ai fiumi, dagli stagni alle fontane per finire alle saune. Non c’è un ordine cronologico, come lui stesso scrive: “Questi miei ricordi si possono leggere a partire da qualsiasi pagine e seguendo qualsiasi direzione. Nuotano nell’eternità, non hanno bisogno di dimensioni perché sono disciolti nell’eternità”. 
A leggerlo, Limonov appare proprio quel grande egocentrico di cui tutti parlano. E probabilmente lo è. La sua egosfera è di proporzioni cosmiche e mai in discussione. Ma forse, e dico forse, è proprio questo che lo rende un bravo scrittore. No, non uno scrittore eccelso, ma ha occhi da scrittore e non ci sia lascia abbindolare dalla sua narrazione di imprese incredibili, che tuttavia non ho alcun problema a considerare in larga parte vera. Si fluttua tra mari e fiumi e il viaggio è oltremodo piacevole. Sa come affascinare e, sebbene talvolta calchi un po’ troppo la mano, il quadro complessivo è riuscito. Ha un buon utilizzo delle immagini e uno sguardo privo di condiscendenza. Ci sono descrizioni di luoghi senza pietà, come la spiaggia di Ostia o la fontana di Trevi, che Limonov liquida così:  “Di per sé la fontana non era nulla di speciale. Una costruzione acquosa, vischiosa, ossidata. Sulle cartoline fa miglior figura”. È uno sguardo immediato, quasi bambinesco, del tutto capace di irritarti e irretirti allo stesso tempo. 
Alcuni brani sono coerenti, seguono la narrazione dell’acqua, altri si perdono nell’esosfera limonoviana, ma questo non li rende meno affascinante. Una presenza costante nelle sue narrazioni sono le donne. E la guerra. Come se queste fossero le uniche vie di accesso alla gloria. E se da una parte leggiamo un Limonov sempre più innamorato e distrutto dall’amore, dall’altra c’è l’uomo che combatte solo per il gusto di combattere, perché la guerra è una droga, come le donne. 
Personaggio controverso, lo ripeto, scrittore controverso e controcorrente, che si auto definisce “l’autore dei migliori libri della controcultura occidentale” in uno dei suoi (frequenti) attacchi di mania di grandezza. Ma dopotutto scrive: “Incoraggiate la mania di grandezza! Coltivate in ogni modo la vostra differenza dagli altri. Non c’è nessun senso ad assomigliare a questa marmaglia”
Una vita vissuta a 360 km orari. Forse davvero una vita di merda, come dice a Carrere nella sua ultima intervista. O forse esattamente la vita di merda che voleva. Resta il fatto che Eduard Limonov non riesce a passare per occhio. Una volta entrato, difficile venirne fuori. 
È esattamente questa la vita che ho voluto:”, scrive ”caledoiscopica, arrischiata, sfavillante”.

E io non ho alcun dubbio. 




mercoledì 10 gennaio 2018

Diario I, Anaïs Nin

Parigi, inverno 1931. Anaïs Nin conosce Henry Miller e la sua vita cambia radicalmente. Come lei stessa scrive, verrà gettata nella realtà. Un punto di svolta importante, un punto da dove iniziare a raccontare un percorso interiore che non finirà mai, la accompagnerà fino alla morte. 
Anaïs ha 28 anni, ha appena pubblicato un saggio su Lawrence, vive a Louvenciennes con sua madre e i fratelli, gioca a fare la piccola borghese. Ma sente che i vestiti anonimi, i tè pomeridiani e le piccole occupazioni domestiche le stanno strette: lei ha un fuoco, dentro, che vorrebbe far divampare, bruciando tutte quelle convenzioni di cui il suo mondo è intriso. La miccia è proprio Miller: un uomo geniale, ma brutale, terreno, caotico. Lo è nella vita che conduce, da perfetto bohémien, lo è nella sua scrittura, che è una colata di lava continua e che affascina Anaïs tanto da tenerlo sotto la sua ala protettrice per anni. Lo ascolta mentre parla di June, sua moglie, una donna passionale e misteriosa, bugiarda, forse tossicomane; lo ascolta mentre parla delle sue idee, le mostra i suoi appunti, la porta in giro per sordidi locali notturni, a bere, fumare, conoscere prostitute. Ecco, la vita che vuole la giovane Anaïs, quella di Henry, quella bohémien, quella del vero artista. E ogni sera, tornando a casa da una cena, da un giro per le strade fredde di Parigi o da una seduta con il suo analista, Anaïs scrive, si abbandona al suo migliore amico, il diario, la sua droga, il suo oppio, come lo descrive a tutti, lo riempie di ritratti, di pensieri, indugia sull’autoanalisi. Nei tre anni di questo primo diario, che va dal 1931 al 1934, scrive di ogni persona che conosce nei suoi anni parigini, descrive l’amore per June, la sua analisi con lo psicologo Allendy, trova spazio Artaud, Otto Rank. Ma sopratutto suo padre, il grande pianista, l’uomo che per prima la ha abbandonata, causandole tanta infelicità e insicurezza. 
Tutte queste persone, nel diario, diventano personaggi. Tutte le sue avventure, il dramma rappresentato. 
Bellissimo lo stile, così poetico e immaginifico, un’andatura che potrebbe essere la stessa del corpo esile e fragile della Nin: leggera, a volte sicura, spavalda, altre invece titubante. 
Anaïs donna, Anaïs figlia, Anaïs amante, Anaïs artista. Anaïs che ama sempre e comunque tutti e si prende cura di tutti, come una madre. Anaïs che vuole decidere della sua vita.

La vita ordinaria non mi interessa”, scrive. “Cerco solo i grandi momenti. Voglio essere una scrittrice che ricorda agli altri che questi momenti esistono”.