Il Libro
dell'inquietudine di Bernardo Soares fu pubblicato per la prima volta in
Portogallo nel 1982, dopo cinquant'anni dalla morte del suo autore, Fernando
Pessoa.
È da considerarsi più che come un romanzo, come un
libro-progetto, che occupò almeno vent'anni della vita dello scrittore portoghese.
Si tratta infatti di 250 frammenti, circa, rinvenuti nella casa di Pessoa, nei
quali il suo eteronimo ( o semi-eteronimo) Soares riflette, e vaneggia a volte, sui più svariati temi.
Dalla vita alla morte, dal sogno alla realtà.
La prima edizione di questo libro fu curata da Jacinto do
Prado Coelho, ma sono molte le varianti: si tratta infatti di un assembramento
dei vari frammenti, molti dei quali rinvenuti scritti a mano sul retro di buste
commerciali o su fogli di taccuino, impossibili da ricostruire
cronologicamente.
Un progetto che sembrerebbe quindi non terminato. Eppure è
lo stesso Soares-Pessoa che ne ipotizza, in uno dei suoi ultimi frammenti,
proprio la pubblicazione, così da rendere il libro dell'inquietudine un vero e proprio
esperimento di sovversione del romanzo, come altri scrittori avevano tentato e
tenteranno poi di fare, come lo stesso Pasolini in Petrolio.
Ma Pessoa non colpisce solo la struttura. Anche lo stile e
le stesse parole vengono aggredite dalla sua smania di "parolare". Si
incontra così neologismi come sdormo ( o intra-sono) e di queste cose riesce a farne una vera e propria
dichiarazione di intenti . Le parole sono per me corpi
toccabili, sirene visibili, sensualità incorporate.
Una grande parte la occupa il sogno, in tutte le sue
declinazioni. La sua, dichiara Soares, è una vita passata a sognare. E alla
fine quest'uomo di concetto, questo semplice contabile che passa gran parte
della sua vita in Rua dos Douradoeres (non ne uscirò mai, ammette) è un uomo
che guarda la realtà dalla finestra, la conosce solo attraverso il sogno e la filtra
grazie all'immaginazione. Così un tramonto reale è uguale a un tramonto dentro
di sé. Perché la realtà vera di un oggetto è soltanto una parte di
esso. E scrivere alla fine è vedere i propri sogni nitidamente
o saper vedere in sogno la vita, fotografandola con la macchina della
fantasticheria. Ed è quindi
meglio scrivere che osar vivere. Molto meglio sedersi sulla soglia e immergersi
nel paesaggio, riuscendo acomporre brani sublimi come questo:
Allorché le ultime calure estive
andavano perdendo la ferocia sotto il sole velato, l'autunno cominciava prima
della sua entrata, con una lieve tristezza prolissamente indefinita, come se il
cielo non avesse voglia di sorridere.
Ma la vita passata alla finestra produce grandi stasi, un tedio dell'anima e la felicità risulta impossibile
perché non c'è felicità se non con
consapevolezza. Ma la consapevolezza
della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà
subito lasciarla.
Sembra così descritta una strada senza via d'uscita. L'inquietudine
( il desassossego) di Pessoa come momento del
quotidiano che ognuno, prima o poi, assaggia in misura minore o meno. Ma lo
scrittore non manca di ricordarci che dato che la vita è essenzialmente
uno stato mentale, e che le nostre azioni o i nostri sogni sono validi per noi
nella misura in cui li consideriamo validi, la valorizzazione dipende da noi. Il
sognatore è un emissore di banconote, e le banconote che egli emette valgono
nella città dl suo spirito alla stessa stregua delle banconote della realtà.
Un libro unico, che insegna a riflettere sul valore della
vita. Uno stile inimitabile, che non delude mai. Un autore geniale, che è
impossibile dimenticare.
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