Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

martedì 28 gennaio 2014

Noi siamo infinito. Ragazzo da parete, Chbosky Stephen

Ennesimo romanzo di formazione in stile americano. Potrebbe sembrare che nulla di nuovo splenda sotto questo sole: abbiamo ormai letto praticamente tutto sugli adolescenti. O quasi.
Difatti non è la trama a colpire in questo libro, piuttosto la struttura. E il personaggio.
Charlie è un ragazzo intelligente e sensibile, spaventato dall'imminente ingresso nel mondo della scuola superiore. Per esorcizzare la sua paura ricorre alla corrispondenza con uno sconosciuto che –ha intuito dai commenti di una ragazza a scuola- sa ascoltare e sa capire, e che non ha cercato di portare a letto quella persona alla festa anche se avrebbe potuto. Lo chiama semplicemente amico. Gli racconterà le sue giornate, le sue amicizie, i suoi sentimenti, i segreti, i successi e gli insuccessi del suo primo anno di liceo. E lo farà con uno sguardo attento a cogliere –ed è questo che lo rende speciale- ogni piccolo gesto delle persone che lo circondando.
Il giovane Charlie si muove tra le parole che lui stesso scrive con una grazia che lo rende tenero e vero. Usa uno stile volutamente semplice che Chbosky giustifica sin dall'inizio, mettendo queste parole in bocca a Charlie: “E allora qual è lo scopo di usare dei vocaboli che gli altri non conoscono, e che nessuno pronuncerebbe con sicurezza?”
Il dolore del ragazzo è filtrato dalla voce narrante e diluito dai gesti, mentre il doppio filtro –prima persona, epistola- alla fine riesce ad ammorbidire i tratti fin troppo narcisistici di alcune parti e a farti apprezzare completamente il personaggio che, in altro modo, risulterebbe incoerente.
Fatto sta che il libro vola via leggero come una piuma tra un libro e l’altro, una festa e l’altra, una lacrima e l’altra;  e ti fa sentire bene, come quando l’eroe di turno scova i cattivi e li punisce. Ma senza mettersi troppo in mostra.
Chiusa l’ultima pagina la sensazione è di aver conosciuto qualcuno che valeva la pena di conoscere, una sensazione simile a quella che Salinger mette in bocca al giovane Caulfield: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira

E Il giovane Holden è ovviamente uno dei libri a cui Chbosky, nel corso della narrazione, non può che riferirsi spesso. 

                                                          Noi siamo infinito. Ragazzo da parete

lunedì 6 gennaio 2014

Cate, io- Cellini Matteo

Un romanzo di formazione, più o meno.
Quello che colpisce in questo libro è lo stile, assolutamente. Sulla trama, al contrario, ho dei dubbi.
La protagonista è un’adolescente XL, che affronta la sua vita dividendola in due: da una parte c’è Caterina, la figlia, la sorella, la nipote, in sintesi la ragazza normale e molto amata; dall’altra c’è Cate- ciccia o Cate-rpillar, la super eroina- così si definisce- che, solo ed esclusivamente grazie alla sua presenza ingombrante, riduce immediatamente la gravità dei difetti altrui, riducendoli a capocchie di spillo. Ed è proprio quest’ultimo il ruolo che interpreta fuori casa, sia per strada che a scuola, murandosi dietro a se stessa per la paura di venir derisa dagli altri.
Cellini è molto bravo a calarsi in questi abbondanti panni. L’introspezione del personaggio è esemplare. Come ho già detto, anche lo stile è ammirevole. Resta solo un dubbio personale sulla trama, che si conclude con un relativo lieto fine. E sembra voler indicare la direzione da seguire, non di raccontare la storia e basta.
A questo proposito ricordo una frase –letta chissà dove- che uno scrittore dovrebbe solo mostrare i mali e i problemi del mondo. Non cercare di risolverli.
Perfino Woody Allen in Midnight in Paris, fa affermare a Gertrude Stein –Kathy Bates- che “compito dell’artista non è soccombere alla disperazione, ma cercare un antidoto alla futilità del mondo”. Una frase bellissima che ho fatto mia. E che non significa affatto proporre una ricetta per vivere.
 La direzione di questo romanzo, invece, come in molti altri libri e gran parte del cinema, è questa. No, non la apprezzo: non esistono ricette.
Molto bello l’ultimo capitolo, giusto una paginetta, che fa capire con una splendida metafora il mezzo con cui Caterina, alla fine, tenterà di liberarsi dai suoi chili di troppo: una pagina bianca.

Ricco di temi pirandelliani, filosofici e riferimenti culturali che allietano la lettura.