Ennesimo
romanzo di formazione in stile americano. Potrebbe sembrare che nulla di nuovo
splenda sotto questo sole: abbiamo ormai letto praticamente tutto sugli
adolescenti. O quasi.
Difatti non è
la trama a colpire in questo libro, piuttosto la struttura. E il
personaggio.
Charlie è un
ragazzo intelligente e sensibile, spaventato dall'imminente ingresso nel mondo
della scuola superiore. Per esorcizzare la sua paura ricorre alla
corrispondenza con uno sconosciuto che –ha intuito dai commenti di una ragazza
a scuola- sa ascoltare e sa capire, e che non
ha cercato di portare a letto quella persona alla festa anche se avrebbe potuto.
Lo chiama semplicemente amico. Gli
racconterà le sue giornate, le sue amicizie, i suoi sentimenti, i segreti, i
successi e gli insuccessi del suo primo anno di liceo. E lo farà con uno sguardo
attento a cogliere –ed è questo che lo rende speciale- ogni piccolo gesto delle
persone che lo circondando.
Il giovane
Charlie si muove tra le parole che lui stesso scrive con una grazia che lo
rende tenero e vero. Usa uno stile volutamente semplice che Chbosky giustifica
sin dall'inizio, mettendo queste parole in bocca a Charlie: “E allora qual è lo
scopo di usare dei vocaboli che gli altri non conoscono, e che nessuno
pronuncerebbe con sicurezza?”
Il dolore del
ragazzo è filtrato dalla voce narrante e diluito dai gesti, mentre il doppio
filtro –prima persona, epistola- alla fine riesce ad ammorbidire i tratti fin
troppo narcisistici di alcune parti e a farti apprezzare completamente il
personaggio che, in altro modo, risulterebbe incoerente.
Fatto sta che
il libro vola via leggero come una piuma tra un libro e l’altro, una festa e l’altra,
una lacrima e l’altra; e ti fa sentire
bene, come quando l’eroe di turno scova i cattivi e li punisce. Ma senza
mettersi troppo in mostra.
Chiusa l’ultima
pagina la sensazione è di aver conosciuto qualcuno che valeva la pena di
conoscere, una sensazione simile a quella che Salinger mette in bocca al
giovane Caulfield: “Quelli che mi lasciano proprio
senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che
segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al
telefono tutte le volte che ti gira”
E Il giovane Holden è ovviamente uno dei
libri a cui Chbosky, nel corso della narrazione, non può che riferirsi spesso.
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