Milena è vulnerabile, lo è il suo
corpo. Si nasconde dietro alte mura, quelle che ha costruito dopo che
a tre anni l'hanno strappata via da quelle della prigione
dove è nata.
Milena ama: ama sua madre, che ha avuto
il potere di nascerla, così come ha quello di morirla;
ama suo padre, la luce che brilla sporadica nei suoi occhi; ama
Eugenio, primo compagno di culla, primo amico, primo amante, unica
salvezza; ama Marlonbrando, il piccolo rom nato in galera che fra
poco compirà tre anni e dovrà uscire e lasciare sua madre; ama Lou
Rizzi, l'uomo che l'ha salvata dalla rabbia della folla, un giorno,
davanti ai cancelli di Rebibbia. Milena ama. Ama i loro corpi, i loro
odori.
Milena vuole: vuole spaccarsi in due e
farli entrare dentro di sé, quei corpi. Abitarli, come Eugenio abita
il suo da sempre. Ma il mondo di Milena è un mondo dove le cose
esistono se le dici e lei è sempre molto attenta a non parlare.
Trattiene il respiro ed è come se Roma lo trattenesse con lei:
l'Aniene smette di scorrere, va in apnea. Il parco è ammanettato.
Milena tenta: tenta di liberare se
stessa e i bambini di Rebibbia, quelli che hanno corpi docili, corpi
per i quali ogni cosa è decisa da altri: mangiare, dormire,
ammalarsi...
Milena, però, non esiste: fa le tesi
dove altri scriveranno i propri nomi, culla bambini di altre madri.
Ed è questo che Rossella Postorino
tira in ballo: la possibilità di esistere, di vivere, di essere,
finalmente, su questa terra. Con lo stomaco, i piedi, le mani.
Un libro che ti ferisce, e poi ricuce
gli strappi con l'abilità di un sarto. Che ti imprigiona, e poi ti
schiaffa in faccia l'aria, la luce che ti stordisce e non sai dove
andare. Uno stile che riesce a emozionarti davanti a un laghetto
artificiale soffocato dai palazzi di periferia.
Chiusa l'ultima pagina ti accorgi
quanta vita ci sia dentro al desiderio, così umano, di fare tana, di
fare di ogni posto una casa. Dove casa è solo un altro corpo.
Nessun commento:
Posta un commento