Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

giovedì 5 gennaio 2017

Per me non esiste altro, Bernard Malamud

La scrittura come arte, la scrittura come indagine dell'uomo e di se stessi, la scrittura come vita. Sono questi i nodi che compaiono e si sciolgono in questo breve libro dove Francesco Longo ci guida attraverso le parole di Malmud per condurci nella sua stanza segreta, quella in cui uno scrittore è meglio che vada ed è meglio che stia lì dentro e scriva.
Malamud ci offre una panoramica sulla vocazione, sull'immaginazione, sulla moralità della scrittura, sul simbolo di un buon romanzo e lo fa con precisione e chiarezza, consigliandoci come farebbe un padre.
Una delle riflessioni più belle parte dal principio che regge la letteratura, che vede come un modo per arrivare alla comprensione di se stessi e metterci in comunicazione con gli altri esseri umani.  Quindi scrivere ricordandoci dell'anima e dell'umanità dei personaggi, prima di tutto. Essere onesti. L'onestà nella scrittura è una vera e propria legge scritta sulla tavola.  E poi lo stile, che sia libero e sopratutto preciso.
Ogni volta che leggo un saggio di questo tipo la voglia di mettermi alla tastiera è talmente forte che vorrei alzarmi anche in piena notte, e forse è proprio per questo motivo che li leggo. Per ricordare a me stessa che non è del tutto inutile quello che sto facendo. Che il patto fatto con me stessa ha valore, anche se ogni giorno mi chiedo se io abbia il talento. E che provarci, comunque, non è mai una perdita di tempo. Leggere Malamud mi ha confermato che scrivere è un'indagine, di se stessi  e del mondo. È un modo per venire a patti con la vita. E la fatica e a volte il dolore verranno ripagati con la consapevolezza.

Per me non esiste altro, dice. La sintesi di una storia d'amore comune a molti. 





mercoledì 4 gennaio 2017

# 15

Non pensiate che la psicologia moderna e la psichiatria abbiano scoperto tutto quello che c'è da sapere sulle persone. La scienza non ha ancora scoperto i segreti dell'anima - e ipotizzo che non ci riuscirà mai. Lo scrittore dovrebbe cercare di farlo attraverso l'arte. In un certo senso sta proprio qui il più alto obiettivo dell'arte.
(Bernard Malamud)

Foto: Francesco Romoli

Canto della pianura, Kent Haruf

Di nuovo a Holt. Di nuovo in questo mondo che profuma di erba appena tagliata e dolci d'avena fatti in casa. Che però odora anche di sangue delle bestie, di birra e sudore.  Il sole illumina allo stesso tempo il terreno ghiacciato dall'inverno e il volto dei bambini che consegnano i giornali nelle prime ore del mattino. È lo specchio della vita, questo libro, la vita che cresce nella pancia di Victoria, così desiderata nonostante le avversità, è la vita di due uomini rudi e solitari che cambia all'improvviso, è la vita di un uomo che ricomincia ad amare ed è quella di due bambini che scoprono il mondo crescendo, che scoprono, appunto, la vita e la morte.
Per celebrare la vita che nasce Haruf mette molte madri tra le pagine. Victoria, che ha soli diciassette anni, Ella, che, depressa, prende la difficile decisione di che lasciare i suoi bambini, la vecchia signora Stearns, che muore nella solitudine della propria casa rimpiangendo il figlio scomparso in Marina. Ma anche la signora Beckam, che insulta e aggredisce chiunque si metta contro il suo ragazzo. E poi c'è un'altra donna, una donna che non ha figli, la signorina Maggie Jones, forse quella che più di tutte incarna la figura materna.
Davvero unici questi personaggi, buoni nelle loro singolarità, generosi nel loro egoismo, giusti nella loro ingiustizia. In una parola: veri. Le loro esistenze si intrecciano, si uniscono contro fronti comuni, rendendoci partecipi del loro mondo. Di più: desiderosi di esserlo.
Non dimentico di aggiungere, anche qui, come in Benedizione, la trappola della provincia, con i suoi pro e i suoi contro, un tema trattato con intelligenza che tocca praticamente  ogni pagina. I pettegolezzi che rischiano di turbare la pace si contrappongono alle generose mani della comunità rurale di Holt, sempre pronta ad aiutare, a consolare, a farti sentire il suo caldo abbraccio.
Di nuovo la prosa di Haruf mi colpisce nella sua elementare complessità. Ricorda la melodia che compare nel titolo, Plainsong, un canto semplice, senza strumenti, ma di grande effetto. E anche le grida di dolore sembrano scomparire nel vento di questo gelido inverno.
Del Canto della pianura dispiace solo una cosa: che duri così poco, che l'incanto svanisca terminata l'ultima pagina, riportandoti alla realtà.
Ma questo è il male di ogni libro.