Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

domenica 28 dicembre 2014

Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, Fernando Pessoa

            Il Libro dell'inquietudine di Bernardo Soares fu pubblicato per la prima volta in Portogallo nel 1982, dopo cinquant'anni dalla morte del suo autore, Fernando Pessoa.
È da considerarsi più che come un romanzo, come un libro-progetto, che occupò almeno vent'anni della vita dello scrittore portoghese. Si tratta infatti di 250 frammenti, circa, rinvenuti nella casa di Pessoa, nei quali il suo eteronimo ( o semi-eteronimo) Soares riflette,  e vaneggia a volte, sui più svariati temi. Dalla vita alla morte, dal sogno alla realtà.
La prima edizione di questo libro fu curata da Jacinto do Prado Coelho, ma sono molte le varianti: si tratta infatti di un assembramento dei vari frammenti, molti dei quali rinvenuti scritti a mano sul retro di buste commerciali o su fogli di taccuino, impossibili da ricostruire cronologicamente.
Un progetto che sembrerebbe quindi non terminato. Eppure è lo stesso Soares-Pessoa che ne ipotizza, in uno dei suoi ultimi frammenti, proprio la pubblicazione, così da rendere il libro dell'inquietudine un vero e proprio esperimento di sovversione del romanzo, come altri scrittori avevano tentato e tenteranno poi di fare, come lo stesso Pasolini in Petrolio.
Ma Pessoa non colpisce solo la struttura. Anche lo stile e le stesse parole vengono aggredite dalla sua smania di "parolare". Si incontra così neologismi come sdormo ( o intra-sono) e di queste cose riesce a farne una vera e propria dichiarazione di intenti . Le parole sono per me corpi toccabili, sirene visibili, sensualità incorporate.
Una grande parte la occupa il sogno, in tutte le sue declinazioni. La sua, dichiara Soares, è una vita passata a sognare. E alla fine quest'uomo di concetto, questo semplice contabile che passa gran parte della sua vita in Rua dos Douradoeres (non ne uscirò mai, ammette) è un uomo che guarda la realtà dalla finestra, la conosce solo attraverso il sogno e la filtra grazie all'immaginazione. Così un tramonto reale è uguale a un tramonto dentro di sé. Perché la realtà vera di un oggetto è soltanto una parte di esso.   E scrivere alla fine è vedere i propri sogni nitidamente o saper vedere in sogno la vita, fotografandola con la macchina della fantasticheria.  Ed è quindi meglio scrivere che osar vivere. Molto meglio sedersi sulla soglia e immergersi nel paesaggio, riuscendo acomporre brani sublimi come questo:
Allorché le ultime calure estive andavano perdendo la ferocia sotto il sole velato, l'autunno cominciava prima della sua entrata, con una lieve tristezza prolissamente indefinita, come se il cielo non avesse voglia di sorridere.  
Ma la vita passata alla finestra produce grandi stasi, un tedio dell'anima e la felicità risulta impossibile perché non c'è felicità se non con consapevolezza. Ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere  che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla.
Sembra così descritta una strada senza via d'uscita. L'inquietudine ( il desassossego) di Pessoa come momento del quotidiano che ognuno, prima o poi, assaggia in misura minore o meno. Ma lo scrittore non manca di ricordarci che dato che la vita è essenzialmente uno stato mentale, e che le nostre azioni o i nostri sogni sono validi per noi nella misura in cui li consideriamo validi, la valorizzazione dipende da noi. Il sognatore è un emissore di banconote, e le banconote che egli emette valgono nella città dl suo spirito alla stessa stregua delle banconote della realtà.

Un libro unico, che insegna a riflettere sul valore della vita. Uno stile inimitabile, che non delude mai. Un autore geniale, che è impossibile dimenticare.





domenica 14 dicembre 2014

#7

Vedere le cose come sono veramente...per me questo è sempre e ovunque, nella scrittura, nella vita, una questione morale 
(Zadie Smith)

Foto: Alessia Zanzi

domenica 7 dicembre 2014

Aspetta primavera, Bandini, John Fante

Avanzava, scalciando la neve profonda. Era un uomo disgustato. Si chiamava Svevo Bandini e abitava in quella strada, tre isolati più avanti. Aveva freddo e le scarpe sfondate. Quella mattina le aveva rattoppate con dei pezzi di cartone di una scatola di pasta. Pasta che non era stata pagata. Ci aveva pensato proprio mentre infilava il cartone nelle scarpe.
Foto: Francesco Romoli

domenica 23 novembre 2014

Il sale della vita: 1




Alzarsi la mattina e spalancare le finestre al sole, sorridere al vento che si intrufola nei capelli, rivolgere il viso al cielo per bagnarlo con una pioggia tiepida. Scoprire che la Vita ti respira intorno,qualunque sia il colore della tua giornata...



Foto: Alessia Zanzi

sabato 22 novembre 2014

Il sale della vita : Intro

Intro:


Ho letto il libro dell'antropologa Héritier, Il sale della vita, già da un po'. "Ci sono momenti di leggerezza e di grazia nella nostra esistenza, al di là delle occupazioni, al di là dei sentimenti forti, al di là degli impegni. Piccole cose che tutti possiamo gustare: è il sale della vita", scrive l'autrice. Una sorta di montaggio interiore, di associazioni di idee in cui si alternano immagini e emozioni,ricordi , tutto ciò che nutre la nostra anima.
Circa un anno fa ne trassi un mio personale elenco. Ora mi impegno a riscriverlo, invitando chiunque legga a fare altrettanto. Personalmente lo scopo è anche quello di esperimento letterario, seppur di poco conto. Per tutti è comunque un esercizio che fa bene al cuore.


venerdì 14 novembre 2014

Dinosauria, we- Bukowski

Nati così
in mezzo a tutto questo
tra facce di gesso che ghignano
e la signora morte che se la ride
mentre gli ascensori si rompono
mentre gli orizzonti politici si dissolvono
mentre il ragazzo della spesa del supermercato ha una laurea
mentre i pesci sporchi di petrolio sputano la loro preda oleosa
e il sole è mascherato
siamo nati così
in mezzo a tutto questo
tra queste guerre attentamente matte
tra la vista di finestre di fabbrica rotte di vuoto
in mezzo a bar dove le persone non non si parlano più
nelle risse che finiscono tra sparatorie e coltellate

siamo nati così
in mezzo a tutto questo
tra ospedali così costosi che conviene lasciarsi morire
tra avvocati talmente esosi che è meglio dichiararsi colpevoli
in un Paese dove le galere sono piene e i manicomi chiusi
in un posto dove le masse trasformano i cretini in eroi di successo
nati in mezzo a tutto questo

ci muoviamo e viviamo in tutto ciò
a causa di tutto questo moriamo
castrati
corrotti
diseredati
per tutto questo
ingannati da questo
usati da questo
pisciati addosso da questo
resi pazzi e malati da questo
resi violenti
resi inumani
da questo

il cuore è annerito
le dita cercano la gola
la pistola
il coltello
la bomba
le dita vanno in cerca di un dio insensibile
le dita cercano la bottiglia
le pillole
qualcosa da sniffare

siamo nati in questo essere letale triste
siamo nati in un governo in debito di 60 anni





che presto non potrà nemmeno pagare gli interessi su quel debito
e le banche bruceranno
il denaro sarà inutile
ammazzarsi per strada in pieno giorno non sarà più un crimine
resteranno solo pistole e folle di sbandati
la terra sarà inutile
il cibo diventerà un rendimento decrescente
l'energia nucleare finirà in mano alle masse
il pianeta sarà scosso da un'esplosione dopo l'altra
uomini robot radioattivi si inseguiranno l'un l'altro

il ricco e lo scelto staranno a guardare da piattaforme spaziali
l'inferno di Dante sarà fatto per somigliare a un parco giochi per bambini
il sole sarà invisibile e sarà la notte eterna
gli alberi moriranno
e tutta la vegetazione morirà
uomini radioattivi si nutriranno della carne di uomini radioattivi
il mare sarà avvelenato
laghi e fiumi spariranno
la pioggia sarà il nuovo oro
la puzza delle carcasse di uomini e animali si propagherà nel vento oscuro
gli ultimi pochi superstiti saranno oppressi da malattie nuove ed orrende
e le piattaforme spaziali saranno distrutte dalla collisione
il progressivo esaurimento di provviste
l'effetto naturale della decadenza generale
e il più bel silenzio mai ascoltato
nascerà da tutto questo
il sole nascosto
attenderà il capitolo successivo

Foto: Francesco Romoli






mercoledì 29 ottobre 2014

#6

Ma un romanzo, per così dire, per essere un buon romanzo, deve sembrare, prima che si inizi a scriverlo, impossibile da scrivere, ma solo visibile; cosicché per nove mesi si vive nella disperazione, e solo quando ci si dimentica ciò che si voleva dire, il libro potrà sembrare accettabile. 
( V. Woolf)


Foto: Alessia Zanzi

venerdì 17 ottobre 2014

Autopsicografia- Pessoa

Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondo
Gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore




Foto: Francesco Romoli

sabato 11 ottobre 2014

Una questione privata, Beppe Fenoglio

Amore e guerra: due parole che sembrano escludersi. Eppure, mai come in questo libro riescono a convivere tanto armoniosamente.
Beppe Fenoglio, uno dei più famosi scrittori partigiani, dopo aver completato il successo con Il partigiano Johnny, si lancia in questa impresa che mira alla coerenza del racconto piuttosto che alla memorialistica.
La trama può apparire molto semplice.
Milton è un partigiano nelle langhe, sezione badogliana. Il romanzo inizia con la sua bocca aperta e le braccia abbandonate lungo i fianchi, mentre osserva la villa dove fino a poco tempo prima la donna che ama, Fulvia, lo ascoltava parlare d'amore attraverso le traduzioni dei testi di canzoni inglesi. Il dio dell'inglese, lo chiamava. Ma Fulvia è tornata a Torino, di lei il giovane Milton non sa più nulla. È la governante, incontrata nella villa, a informarlo e trafiggerlo da parte a parte con il racconto dell'amore clandestino di Fulvia e Giorgio, suo compagno partigiano e amico d'infanzia. Da questo momento in poi l'unico pensiero del giovane sarà quello di conoscere da Giorgio la verità, parola ricorrente nel libro, ma verrà a sapere che  il compagno è stato catturato dai fascisti.
È un romanzo di ricerca, in un certo senso. La verità, come fine personale, d'amore, si intreccia però magistralmente con  il fine partigiano, quello di guerra. Milton lotta, infatti, e rischia la sua vita per salvare un compagno dalla fucilazione certa, tentando uno scambio, e contemporaneamente l'unico motivo per cui lo vuole tenere in vita è sapere del tradimento con Fulvia. Questi due confini si confondono in una danza che è fatta di nebbia, fango e fatica.
Splendide sono proprio le descrizioni del paesaggio delle langhe, uno scenario che appare immobile, nebbioso, opprimente, in perfetta sintonia con l'animo di Milton.
C'è molto odio sparso tra le pagine: odio per la guerra, per la fame, per la morte. Colpisce dritto al cuore il penultimo capitolo, quasi un racconto a sé, dove Fenoglio abbandona Milton e ci trasferisce a osservare l'esecuzione di due giovanissimi ragazzi, Riccio e Bellini, catturati e fucilati dai fascisti. Un episodio introdotto forse un po' a forza, ma che ha la funzione di ricordarci che oltre al Fenoglio scrittore, c'è stato -e c'è - un Fenoglio partigiano, che non potrà mai accettare la tragedia dell'estrema brutalità che ha percorso la Resistenza.

Una questione privata è semplicemente un piccolo capolavoro, dove nulla sembra lasciato al caso e dove è forte il tema delle conseguenze delle proprie azioni, nel bene e nel male. Dove la Resistenza offre un terreno per far sì che l'uomo sia rappresentato attraverso di essa in tutta la sua interezza.

domenica 28 settembre 2014

Sonetto 92 - William Shakespeare

Fa' pure del tuo peggio per sfuggirmi
tu in me vivrai per tutta la mia vita
e vita non durerà più a lungo del tuo amore,
perché sol da questo affetto essa dipende.
Quindi temer non devo il peggior dei torti
quando nel più piccolo la mia vita ha fine;
mi par di meritare miglior sorte
di quella che è balia dei tuoi capricci.
Non puoi torturarmi con la tua incostanza
perché nel tuo disdegno muore la mia vita:
o che beato titolo solo io posseggo,
felice del tuo amore, felice di morire!
Ma esiste felicità che nuvole non tema?
Tu potresti ingannarmi ed io non saperlo.





Foto: Alessia Zanzi

mercoledì 17 settembre 2014

Ieri, Agota Kristof

Ieri soffiava un vento conosciuto. un vento che avevo già incontrato.
Era una primavera precoce. Camminavo nel vento a passi decisi, rapidi, come tutte le mattine. Eppure avevo voglia di ritrovare il mio letto e distendermi, immobile, senza pensieri, senza desideri, e di restare sdraiato fino al momento in cui avrei sentito avvicinarsi quella cosa che non è voce né gusto né odore, solo un ricordo vaghissimo, venuto da oltre i limiti della memoria. 



Foto: Francesco Romoli

lunedì 8 settembre 2014

#5

Quando si finisce di leggere un bellissimo racconto e si mette via il libro, ci si dovrebbe fermare un momento, come per riprendersi. In questo momento, se lo scrittore è riuscito nel suo intento, si dovrebbe formare un senso di comunione emotiva e intellettuale. O, se non proprio un senso di comunione, perlomeno la sensazione che le disparità di una situazione cruciale ci siano state presentate sotto una nuova luce e questo è per noi un punto di partenza.
(R. Carver)
Foto: Alessia Zanzi

lunedì 1 settembre 2014

La maestra dei colori, Aimee Bender

I fan di Aimee Bender non saranno delusi dal nuovo libro dell'eccentrica scrittrice americana. La maestra dei colori è una raccolta di quindici racconti, divisi in tre parti.
Prendendo le movenze della fiabe dei Fratelli Grimm, a cui l'autrice si è sempre ispirata, la narrazione cuce tutti i pezzi di un mondo popolato da donne che devono sposano orchi, uomini che si fingono nazisti per essere condannati dal tribunale di Norimberga, ragazzi che soffrono di analfabetismo facciale. Pregevole il racconto da cui prende nome la raccolta, una specie di fiaba prima della fiaba, in cui la futura protagonista di Pelle d'asino riceve tre vestiti dalla giovane apprendista della Maestra dei colori. Non trapela  alcun romanticismo in queste pagine, piuttosto la fragilità dell'essere umano, nascosta dietro a una apparente sicurezza.  
Lo stile della Bender alleggerisce le cose pesanti e tristi,  mette in mano al lettore le chiavi della sua mente e gli permette di aprirla.  
Il fantastico trabocca da ogni parola. Eppure c'è sempre qualcosa di terribilmente realistico nelle sue storie, di coinvolgente.
Sono le emozioni dei personaggi a prendere corpo,diventando tangibili  più dei personaggi stessi.  Ed è proprio l'elemento che rende queste pagine speciali.  

Terminato il libro, come suggeriva Carver, ci si dovrebbe fermare un momento,  per riprendersi. Allora si avvertirà, come fosse una magia, che qualcosa è scivolato via dal libro, si è cercato un cantuccio nel cuore, ci si è accovacciato e lì resterà per sempre. Per ricordarci di che colore sono i nostri sentimenti.







mercoledì 20 agosto 2014

#4

...poiché le nostre frasi sono solo approssimazioni, una rete lanciata su perle di mare che potrebbe svanire; e che, una volta riportate in superficie, saranno completamente diverse da come le avevo viste sott'acqua.
( V. Woolf)



Foto: Alessia Zanzi

giovedì 7 agosto 2014

Nulla due volte- Szymbroska

Nulla due volte accade
Né accadrà. Per tal ragione
Nasciamo senza esperienza,
moriamo senza assuefazione.
Anche agli alunni più ottusi
Della scuola del pianeta
Di ripeter non è dato
Le stagioni del passato.
Non c’è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
né due baci somiglianti,
né due sguardi tali e quali.
Ieri, quando il tuo nome
Qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.
Oggi che stiamo insieme,
ho rivolto gli occhi altrove.
Una rosa? Ma cos’è?
Forse pietra, o forse fiore?
Perché tu, ora malvagia,
dài paura e incertezza?
Ci sei – perciò devi passare.
Passerai – e in ciò sta la bellezza.
Cercheremo un’armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d’acqua.




Foto: Alessia Zanzi



giovedì 31 luglio 2014

Il senso degli opposti: Molinella 09/09/12. Parte 2

Il Pac 750 xl si aspettare sulla pista solo pochi secondi. Aspetto il mio turno sotto il vento caldo dell'elica. Addio acconciatura, dico, ma nessuno mi sente e non riesco a far ridere nemmeno me.
Una volta partiti però mi invade una strana tranquillità. Sono ben imbracata,dopotutto, anche se so che le ovaie ne risentiranno. L'aereo sale rapidamente in quota. Nemmeno l'altitudine e le orecchie che iniziano a fischiare mi mettono in agitazione. A confondermi c'è anche il rumore del motore che va a coprire quello sordo dei miei battiti. 
Sotto di me i campi rettangolari, le strade e le macchine si rimpiccioliscono fino a che non riesco a scorgere la linea d'orizzonte e il mare. Guardo dal finestrino estasiata. E poi non è che possa fare molte altre cose, nemmeno girarmi, lo spazio è strettissimo. Qualcuno si lamenta per il caldo e una ragazza apre il portellone per far entrare un po' d'aria fresca, tranquilla, come se fossimo in auto e non su un aereo che vola a 3000 metri a una velocità di 200 chilometri orari.
Mancano pochi minuti al lancio: Il mio migliore amico per trenta minuti mi stringe ancora un po' le cinture, si aggancia a me e mi infila gli occhiali. Ho il dovere di ricordargli di fare con calma e non dimenticare nulla. L'aria è rarefatta, sulla pelle il freddo è asciutto, e anche la tensione è sparita del tutto, si è scomposta in particelle più piccole, staccate via dal corpo come scaglie, diluendosi nell'aria. Scivoliamo veloci dal nostro posto fino all'apertura del portellone. Ho le gambe nel vuoto, il vento sul viso, mi sento sospesa, corpo e mente. Mi concentro sulla posizione da tenere, testa all'indietro e gambe sotto l'aereo. Mi ritrovo nel vuoto senza sapere come ci sono arrivata. Una capriola in aria e stiamo precipitando. Scendiamo a 50 metri al secondo e la pelle del viso mi tira tanto che ho paura che prima di toccare terra mi si staccherà. Penso a quell'istante in cui ti tuffi ed entri in contatto con la superficie dura del mare, quando il naso si riempie di acqua e il sale pizzica la gola, e non riesci a respirare. Ma qui il tempo si dilata, elastico, e quell'istante è un minuto intero in cui tutti gli elementi della terra sono lì con me: l'aria che mi abbraccia forte, l'acqua in lontananza, la terra ai miei piedi, il fuoco nelle vene. E capisco che se non riesco a respirare non è per paura, ma per lo stupore di avere il mondo ai miei piedi e per la sensazione, così forte, di riuscire anche solo per un istante a dominarlo. Il corpo scompare, si annulla per le forze che premono, contrastanti, l'una a spingere verso il basso, l'altra a sorreggerti.
Una tocco sulla spalla mi ricorda del ragazzo-video che mi sta di fronte, ma io non voglio sorridere alla me che guarderà il video, voglio regalarle per sempre quello sbalordimento, quel senso degli opposti che scopro dentro di me: paura e sicurezza, immobilità e movimento, cielo e terra, sogno e realtà. Tutto quel mondo rinchiuso tra le mie mani, che si muovono libere nell'aria.
È il colpo del paracadute che si apre a riportare indietro i mie pensieri, a ricordarmi dove sono. E chi sono.
Saliamo di qualche metro per poi discendere nuovamente, un declinare che adesso appare dolce, rilassato.
Il mio migliore amico per ancora dieci minuti mi fa la mappa di quello che sta sotto ai miei piedi. Mi indica l'hangar, parlando in continuazione, e finge di farmi tenere il paracadute per un po'. Mi faccio trattare come una bambina, lanciando anche un gridolino per una sua brusca virata.
Arriviamo a terra e siamo fermi dopo un solo metro sull'erba. Ci  rimettiamo in piedi e mi stupisco di tenermi tanto bene sulle gambe. Tolti gli occhiali e recuperata la stoffa del paracadute, mi allontano con passo fermo: non mi sono mai sentita meglio. Con la mente pulita il mondo sembra più brillante, più vero.
Gli occhi scivolano in su ancora un attimo. L'azzurro è così intenso e fermo.
Da oggi so che guardare il cielo non sarà più la stessa cosa.


domenica 27 luglio 2014

#3

Trattandosi di narrativa, il lettore non vuole le tue dissertazioni sull'argomento, le tue osservazioni, il tuo sapere in quanto tale, le tue opinioni su tutto questo, le tue idee...Però METTI TUTTE QUESTE COSE CHE TI APPARTENGONO NELLE STORIE, NEI RACCONTI, ELIMINANDO TE STESSO (tranne quando prendi parte all'azione in prima persona). E QUESTA SARÀ  L'ATMOSFERA, E QUEST'ATMOSFERA SARAI TU, CAPISCI, TU, TU!

(J.London)

Foto: Francesco Romoli


martedì 22 luglio 2014

Il senso degli opposti: Molinella, 09/09/12. Parte 1

La tensione sale non appena metto piede a terra e uno Skyvan truccato da Nemo, il pesce della Disney, ci sfiora la testa. Guardo mio fratello, che non so come ha fatto a convincermi, mi dico. Un salto con il paracadute da 4200 metri. Io che non monto nemmeno sulle montagne russe. Io che ho paura persino del Topozorro.  Poi con la mente torno alla sera in cui gli ho detto: lo faccio!, ai nostri visi arancioni di tramonto e stanchezza, a quel suo dirmi che da lassù tutte le cose, anche i pensieri, si cambiano d'abito e i problemi diventano di colpo insignificanti. Il corpo sparisce e sei solo mente.
Qualcosa del genere.
Lui scende dall'auto paracadute e famiglia, io faccio due parole con la mia e con le altre due persone che proveranno oggi insieme a me l'ebbrezza del tandem, vale a dire il lancio dal paracadute agganciato a un istruttore. Stanno sbadigliando, e concludo che sia stata proprio la loro mancanza perenne di riposo ad averli convinti.
Così motivata faccio un'ora di fila per il check in e compilo il foglio dopo avergli dato solo un'occhiata distratta, ignorando di proposito le parti da firmare in cui il circolo non si ritiene responsabile di. Incidente? Morte? Non voglio saperlo. Ormai ho deciso di fare una cazzata e questa è decisamente una cazzata vestita a festa.
L'interno dell'hangar è un delirio di vestiti sul pavimento e un traffico di corpi e zaini. Sembra di essere a Malpensa in un giorno di sciopero. Ragazzi e ragazze in costume,con le tute da lancio infilate a metà, scalzi, spettinati. Alcuni ripiegano il paracadute, altri scrivono il proprio nome con il pennarello sul tabellone dei voli. Ogni tanto, da un altoparlante, qualcuno chiama i nomi per il volo, avvisa che è disponibile il servizio bar e comunica cose curiose sulle quali non voglio indagare troppo: avvertenza sanitaria, qualcuno ha ingerito per errore le pillole di Viagra...
L'ambiente è sporco, caotico e decisamente divertente. Mi sento subito a casa.
Mentre aspetto il mio turno vado vicino alla piscina, mi faccio due foto (delle quali mi pento subito dopo lo scatto), osservo gli altri paracadutisti scendere come pallottole colorate e mangio qualcosa. Vietato bere alcolici prima del lancio, recita un cartello. Rimando il brindisi a più tardi, quando, in fin dei conti, avrà anche più senso.
Sono le due del pomeriggio quando chiamano il mio nome.
Mentre finisco di prepararmi, più psicologicamente che altro, scopro che oltre al mio istruttore, che decido di chiamare Il mio migliore amico per trenta minuti, si lancerà al mio fianco anche un ragazzo-video.
Hai firmato per averlo, dice, non ricordi? La telecamerina mi fissa con il suo enorme occhio dal casco.
Mi stendo in faccia il sorriso migliore che riesco a fare e annuisco, poco convinta. Chissà che altro ho firmato, penso.
Il mio migliore amico per trenta minuti è molto giovane. Mio fratello prova a rassicurarmi sul numero di lanci che ha già fatto, ma le referenze in quel momento contano e non contano. Anzi, non contano affatto. Conta solo la sensazione di sicurezza che è in grado di darmi. E decido di dargli fiducia. Non che abbia molte altre scelte.
Mi spiega a cosa servono delle cinghie che mi sta allacciando, cosa faremo sull'aereo e cosa invece durante il lancio. Parla lentamente, in modo chiaro e guardandomi negli occhi e sento che le mascelle si rilassano e la bocca si distende tutta. Il corpo ancora oppone resistenza.
Il mio migliore amico per trenta minuti passa poi a illustrarmi i codici manuali.
Indice e medio: sposta la posizione delle gambe durante la caduta; mano avanti e indietro ripetutamente: rilassati; tocco su una spalla: vuoi sorridere alla telecamera per piacere?
Riguardando il video, in realtà, durante quei cinque minuti che impiega a imbracarmi  sembra che sia io a spiegare delle cose a lui, ma non ricordo neanche una parola di quello che gli ho detto. Brutto segno.

Dopo la vestizione cammino come Robocop fino alla navetta che ci porterà sull'aereo. Ottengo un posto privilegiato accanto all'autista. Dietro, il resto del branco. Alla prima buca una voce urla: ma chi ti ha dato la patente, Paperino?  Chiudo gli occhi per non vedere la fifa che sento salire come un palloncino pronto a esplodere. 



venerdì 11 luglio 2014

#2

Il trucco che dovrà fare la letteratura, per come la vedo io, sarà cercare di creare una ricchezza di dettagli e un linguaggio in grado di mostrare...sarà cercare di creare una mimesi efficacie quanto basta per mostrare che in realtà non è cambiato nulla. Che ciò che è sempre stato importante è ancora importante. E il nostro compito è capire come fare questa cosa in un mondo la cui consistenza sensoriale è completamente diversa.
(DFW)
Salice piangente, Claude Monet

#1

A ciò cui non si può dar senso, si potrà dare forma d'arte.
(John Barth)
A.Modigliani

La ragazza dello Sputnik, Murakami

"Nella primavera del suo ventiduesimo anno, Sumire si  innamorò per la prima volta nella vita. Fu un amore travolgente come un tornado che avanza inarrestabile su una grande pianura. Spazzò via  ogni cosa, trascinando in un vortice, lacerando e facendo a pezzi tutto ciò che  trovò sulla sua strada, e dietro non si  lasciò nulla. Poi, senza aver perso nemmeno un grado della sua forza, attraversò il Pacifico, distrusse senza pietà Angkor Wat e  incendiò una foresta indiana con le sue sfortunate tigri. In Persia si trasformò in una tempesta del deserto e seppellì sotto la sabbia un'esotica città-fortezza. Fu un amore straordinario, epocale".

 
Vincent Van Gogh, "Il mare a les Saintes 

lunedì 26 maggio 2014

Viole nere, Tess Gallagher

Viole nere è una raccolta di sette racconti e quarantanove poesie.
È un libro che nasce con un handicap, quello del nome, legato a Raymond Carver, che in tanti hanno battezzato come maestro della nuova narrativa americana.
È quindi molto difficile, direi impossibile, non fare confronti. Tess, moglie di Carver fino alla sua morte avvenuta nel 1988, è principalmente una poetessa. La sua produzione poetica è ricca, a tratti estremamente profonda e immaginifica. Sentire: è questo il verbo che più di ogni altra cosa prevale leggendole.
Ma la vera prova che Tess non supera in questo libro sono i racconti. I protagonisti sono gli stessi di Carver: uomini e donne ripresi nel loro quotidiano, legati a vite qualsiasi i cui frammenti vengono ritratti nel momento in cui si affacciano su un baratro. L’abilità di Carver è sempre stata quella di non mostrare quasi mai la loro caduta, ma di farcela intuire, spesso. Tutto il non detto riempie le pagine e trabocca dal foglio. È soprattutto questo che anche Tess cerca di fare: non dire. E, purtroppo, ci riesce fin troppo bene, ancorando i suoi racconti, non riuscendo a trasmetterli nel cuore del lettore  fino in fondo. Resta ben poco dopo la lettura: un vago senso di confusione dovuto al tentativo di scavare una terra troppo dura.
Il suo stile è pietosamente impreciso. Le parole – l’unica cosa che abbiamo, diceva Carver- non sono selezionate. I suoi racconti avrebbero avuto bisogno di un rastrellamento degli inutili. Tutto quello che c’è di vero e onesto, a tratti, nelle sue poesie non riesce a riportarlo in prosa, sovraccaricandola di un tono che si sente chiaramente non appartenerle.
L’ultimo racconto è quello che fa crollare definitivamente la raccolta. È una correzione di un resoconto, come la narratore afferma alla prima riga. Il resoconto è quello del signor Gallivan, continua, mediocre scrittore in cerca di fama. Il resoconto è Cattedrale, uno dei racconti più famosi di Carver.
È una prova in cui solo un suicida si sarebbe cimentato: perché è proprio qui che si misura la incolmabile distanza. Mentre Carver riesce in modo brillante a dare una profondità che commuove  all'apparente superficie della narrazione di una visita di un cieco a casa sua, Tess si impegna –con  molta fatica e pochissima resa-  nella correzione degli errori  del primo narratore, obbligandoci quindi al confronto. C’è qualcosa di eccessivamente frettoloso nelle sue frasi e alla fine viene divelto il tema centrale, quello morale. Il suo racconto resta privo di qualsiasi finale, dove non succede nulla e nessuno impara nulla.
Resta vaga l’impressione che, se Tess si fosse impegnata meno a imitare lo stile del marito, forse l’avremmo letta più volentieri.

E chiusa l’ultima pagina verrebbe voglia di dirle, come lo stesso Carver forse avrebbe fatto: niente trucchi da quattro soldi…






                                                              

mercoledì 14 maggio 2014

Primo SalTo: Valeria Parrella, Tempo di imparare- Salone del libro di Torino 2014

Sono arrivata al Salone da nemmeno mezz’ora e già mi metto in fila: devo avere una vena masochistica.
La signora davanti a me srotola la mappa del programma  dove ha segnato con cura gli eventi da seguire. Contemporaneamente nella mia borsa il tablet lancia un grido: è l’app del Salone che ho scaricato e che mi avvisa dell’inizio della presentazione del nuovo libro della Parrella, edito da Einaudi. Facendo finta di nulla lo tiro fuori dalla borsa e incrocio lo sguardo divertito della signora Programma-cartaceo. Mi vergogno un po’ di essere diventata tanto tecnologica (dato che poi ci capisco poco), ma alla fine devo ammettere che per orientarmi tra i vari stand mi è stato utilissimo e mi ha fatto risparmiare un sacco di tempo.
La sala è piena: la Parrella, Bartezzaghi e De Silva aspettano composti che tutti si siedano prima di iniziare.
L’autrice inizia  con la lettura dell’incipit e sono già rapita dal ritmo delle sue parole.
Il libro parla di un bambino con disabilità, autistico, e della lotta di sua madre per fondare un linguaggio comune tra loro, un linguaggio emotivo. Ma non solo. La madre, spiega Bartezzaghi, fa un atto di volontà, adottando il proprio figlio e raggiungendo quasi un grado di militanza genitoriale. Parla di Napoli, questo libro, pur non citandola mai. Parla dei dolori e delle angosce dell’essere madre, di questo mestiere sporco. Ma è anche una sperimentazione letteraria, aggiunge: salta lo schema tempo-spazio-soggetto della narrativa, li svuota. La struttura è quella del monologo che parla a un Tu che non risponde e articola di capitolo in capitolo il tentativo di rigenerare una lingua, una lingua negata: un atto di coraggio.
  De Silvia cita Franzen: in un’opera narrativa efficace è necessario sentire che l’autore riesce a confidarsi. Non ha a che fare con l’autobiografia, ma con la capacità di raggiungere il lettore. Ci sono io in ogni libro, ammette Valeria. Giovane, la faccia pulita, la scrittrice volta lo sguardo verso i suoi due presentatori e sembra quasi stupita delle parole che la elogiano e che sviscerano così in profondo il suo romanzo. Dopotutto scrivere è quasi un fatto mistico e non contiene preterintenzionalità.
Ascolto con attenzione le sue parole finali, soffocate dagli applausi. Compito della letteratura, conclude, è sdoganare situazioni che tutti sanno, ma che non dicono. È abbattere quel senso di omertà che le avvolge.

E non potrei essere più d’accordo.

Di fama e di sventura, Federica Manzon

Di fama e di sventura è la storia di un uomo raccontata dagli occhi della donna che lo ha amato.
È la storia di un presagio, annunciato in un giorno in cui il caldo sembra non lasciare spazio alla vita.  E invece in quel giorno nasce Tommaso, un piccolo gamberetto dice Vittoria, sua nonna, un Indiano dal cuore buono che sin dal primo vagito desidera diventare un cowboy.
È una storia d’amore, soprattutto. Amore negato, tradito, cercato, sofferto e vissuto in modo sbagliato, con il rimpianto sempre davanti agli occhi. Di solitudine e di speranza. Di fortuna e di inevitabili tragedie.
Federica Manzon  trascina il lettore nell’Italia dal dopoguerra a oggi, poi lo prende per mano e lo conduce oltreoceano tra le strade di una città americana soffocata dai grattacieli dell’alta finanza, infine lo accompagna di nuovo all’inizio, sulla spiaggia, al bordo di un’acqua dove gli spruzzi schizzano le caviglie e richiamano giorni da seppellire nel fondo della memoria.
Al principio il lettore sembra poter rimanere invischiato nella scrittura, così densa che le tracce dei personaggi sembrano perdercisi. Ma poi ci si abitua al ritmo, e danzare tra le pagine diviene quasi una necessità. La Manzon è abile nel tenere il filo sospeso di capitolo in capitolo, annunciando imminenti tragedie. Il romanzo alla fine risulta imperfetto: la voce narrante lascia spesso perplessi nella ricostruzione di scene dettagliate a cui non può aver assistito. Così come lascia perplessi il finale, risolto con una facilità tale da sembrare sbrigativo.
Eppure.
Eppure i personaggi a cui dà vita rimangono dentro. Penso alla nonna, Vittoria, la donna veloce che ha gambe abbronzate e non porta calze nemmeno in inverno, una donna per la quale le questioni del cuore non vanno raccontate, ma tenute strette nel profondo dell’anima. Penso al Capitano, uomo senza scrupoli per gli affari, ma poi nonno amorevole. Penso allo zio di Tommaso, il mollusco, uomo senza spina dorsale, pronto solo a seguire la corrente migliore. Penso ad Ariel, ragazzo ebreo, dal coraggio inattaccabile, campione di nuoto e unico vero amico di Tommaso.  Una delle stelle che riuscirà a seguire e perdere continuamente nel corso della vita.

Il mondo creato della Manzon è sconosciuto e familiare insieme, un mondo a cui ti affezioni e che ti dispiace abbandonare. Un mondo dove ogni trionfo sottintende una sconfitta. Un mondo dove l’amore crea e distrugge. Triste e nostalgico quando basta per essere amato. Imperfetto come la vita.









domenica 20 aprile 2014

Il corpo docile, Rossella Postorino

Milena è vulnerabile, lo è il suo corpo. Si nasconde dietro alte mura, quelle che ha costruito dopo che a tre anni l'hanno strappata via da quelle della prigione dove è nata.
Milena ama: ama sua madre, che ha avuto il potere di nascerla, così come ha quello di morirla; ama suo padre, la luce che brilla sporadica nei suoi occhi; ama Eugenio, primo compagno di culla, primo amico, primo amante, unica salvezza; ama Marlonbrando, il piccolo rom nato in galera che fra poco compirà tre anni e dovrà uscire e lasciare sua madre; ama Lou Rizzi, l'uomo che l'ha salvata dalla rabbia della folla, un giorno, davanti ai cancelli di Rebibbia. Milena ama. Ama i loro corpi, i loro odori.
Milena vuole: vuole spaccarsi in due e farli entrare dentro di sé, quei corpi. Abitarli, come Eugenio abita il suo da sempre. Ma il mondo di Milena è un mondo dove le cose esistono se le dici e lei è sempre molto attenta a non parlare. Trattiene il respiro ed è come se Roma lo trattenesse con lei: l'Aniene smette di scorrere, va in apnea. Il parco è ammanettato.
Milena tenta: tenta di liberare se stessa e i bambini di Rebibbia, quelli che hanno corpi docili, corpi per i quali ogni cosa è decisa da altri: mangiare, dormire, ammalarsi...
Milena, però, non esiste: fa le tesi dove altri scriveranno i propri nomi, culla bambini di altre madri.
Ed è questo che Rossella Postorino tira in ballo: la possibilità di esistere, di vivere, di essere, finalmente, su questa terra. Con lo stomaco, i piedi, le mani.
Un libro che ti ferisce, e poi ricuce gli strappi con l'abilità di un sarto. Che ti imprigiona, e poi ti schiaffa in faccia l'aria, la luce che ti stordisce e non sai dove andare. Uno stile che riesce a emozionarti davanti a un laghetto artificiale soffocato dai palazzi di periferia.

Chiusa l'ultima pagina ti accorgi quanta vita ci sia dentro al desiderio, così umano, di fare tana, di fare di ogni posto una casa. Dove casa è solo un altro corpo.




martedì 28 gennaio 2014

Noi siamo infinito. Ragazzo da parete, Chbosky Stephen

Ennesimo romanzo di formazione in stile americano. Potrebbe sembrare che nulla di nuovo splenda sotto questo sole: abbiamo ormai letto praticamente tutto sugli adolescenti. O quasi.
Difatti non è la trama a colpire in questo libro, piuttosto la struttura. E il personaggio.
Charlie è un ragazzo intelligente e sensibile, spaventato dall'imminente ingresso nel mondo della scuola superiore. Per esorcizzare la sua paura ricorre alla corrispondenza con uno sconosciuto che –ha intuito dai commenti di una ragazza a scuola- sa ascoltare e sa capire, e che non ha cercato di portare a letto quella persona alla festa anche se avrebbe potuto. Lo chiama semplicemente amico. Gli racconterà le sue giornate, le sue amicizie, i suoi sentimenti, i segreti, i successi e gli insuccessi del suo primo anno di liceo. E lo farà con uno sguardo attento a cogliere –ed è questo che lo rende speciale- ogni piccolo gesto delle persone che lo circondando.
Il giovane Charlie si muove tra le parole che lui stesso scrive con una grazia che lo rende tenero e vero. Usa uno stile volutamente semplice che Chbosky giustifica sin dall'inizio, mettendo queste parole in bocca a Charlie: “E allora qual è lo scopo di usare dei vocaboli che gli altri non conoscono, e che nessuno pronuncerebbe con sicurezza?”
Il dolore del ragazzo è filtrato dalla voce narrante e diluito dai gesti, mentre il doppio filtro –prima persona, epistola- alla fine riesce ad ammorbidire i tratti fin troppo narcisistici di alcune parti e a farti apprezzare completamente il personaggio che, in altro modo, risulterebbe incoerente.
Fatto sta che il libro vola via leggero come una piuma tra un libro e l’altro, una festa e l’altra, una lacrima e l’altra;  e ti fa sentire bene, come quando l’eroe di turno scova i cattivi e li punisce. Ma senza mettersi troppo in mostra.
Chiusa l’ultima pagina la sensazione è di aver conosciuto qualcuno che valeva la pena di conoscere, una sensazione simile a quella che Salinger mette in bocca al giovane Caulfield: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira

E Il giovane Holden è ovviamente uno dei libri a cui Chbosky, nel corso della narrazione, non può che riferirsi spesso. 

                                                          Noi siamo infinito. Ragazzo da parete

lunedì 6 gennaio 2014

Cate, io- Cellini Matteo

Un romanzo di formazione, più o meno.
Quello che colpisce in questo libro è lo stile, assolutamente. Sulla trama, al contrario, ho dei dubbi.
La protagonista è un’adolescente XL, che affronta la sua vita dividendola in due: da una parte c’è Caterina, la figlia, la sorella, la nipote, in sintesi la ragazza normale e molto amata; dall’altra c’è Cate- ciccia o Cate-rpillar, la super eroina- così si definisce- che, solo ed esclusivamente grazie alla sua presenza ingombrante, riduce immediatamente la gravità dei difetti altrui, riducendoli a capocchie di spillo. Ed è proprio quest’ultimo il ruolo che interpreta fuori casa, sia per strada che a scuola, murandosi dietro a se stessa per la paura di venir derisa dagli altri.
Cellini è molto bravo a calarsi in questi abbondanti panni. L’introspezione del personaggio è esemplare. Come ho già detto, anche lo stile è ammirevole. Resta solo un dubbio personale sulla trama, che si conclude con un relativo lieto fine. E sembra voler indicare la direzione da seguire, non di raccontare la storia e basta.
A questo proposito ricordo una frase –letta chissà dove- che uno scrittore dovrebbe solo mostrare i mali e i problemi del mondo. Non cercare di risolverli.
Perfino Woody Allen in Midnight in Paris, fa affermare a Gertrude Stein –Kathy Bates- che “compito dell’artista non è soccombere alla disperazione, ma cercare un antidoto alla futilità del mondo”. Una frase bellissima che ho fatto mia. E che non significa affatto proporre una ricetta per vivere.
 La direzione di questo romanzo, invece, come in molti altri libri e gran parte del cinema, è questa. No, non la apprezzo: non esistono ricette.
Molto bello l’ultimo capitolo, giusto una paginetta, che fa capire con una splendida metafora il mezzo con cui Caterina, alla fine, tenterà di liberarsi dai suoi chili di troppo: una pagina bianca.

Ricco di temi pirandelliani, filosofici e riferimenti culturali che allietano la lettura.