Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

mercoledì 30 novembre 2016

Carne viva, Merritt Tierce

Già il titolo di questo libro dice molto. È la carne viva che si contrappone a quella morta servita nei piatti che Marie porta su e giù ogni sera durante il suo turno al Ristorante. Ma è anche e sopratutto la carne che vuole essere viva, che lo desidera così intensamente da far male. L'unica soluzione per Marie è allora farsene di più, spingersi oltre per non sentire più quel dolore. Dopotutto il dolore della carne è più sopportabile di quello che porta dentro.
Una vita cominciata con il piede giusto, la sua: voti alti a scuola e la prospettiva  di un futuro brillante. Tutto però finisce presto, a 17 anni, quando rimane incita e partorisce una figlia. Sposa il padre della bambina, un uomo che la ama, che farebbe di tutto per quella nuova, piccola famiglia. Ma a Marie non basta. Oppure non ne è proprio capace. Spingerà la sua vita al limite, tra droghe alcol e sesso, in un oscillare continuo tra vita e morte, desiderio e angoscia.
Le quinte di questa storia sono un Ristorante, con la R maiuscola, uno qualsiasi, uno dei tanti in cui Marie ha lavorato, dove si intrecciano le vite di lavapiatti messicani e camerieri africani. E ragazze americane che ancora non sanno cosa fare con la propria vita, letteralmente.  Ed ecco che lavorare crea quello spazio grigio, di non pensiero, che calma e appaga, nonostante la stanchezza fisica e le umiliazioni subite da uomini che le danno pacche sul sedere o la chiamano Stellina.
Un romanzo d'esordio che colpisce, questo della Tierce, e una prosa al limite del glaciale. Ma non potrebbe essere altrimenti. Non si può descrivere la disperazione in modo disperato. La si può porgere su un piatto e aspettare solo che qualcuno la noti, senza pretenderlo.

Un libro che coinvolge, non ti molla. Perfetto nella sua imperfezione.



giovedì 24 novembre 2016

A volte ritorno... tiriamo le somme



Quando ho aperto questo blog, nel 2013, ho scritto che sarebbe stato un blog non necessario. Ho avuto dannatamente ragione. Ma ho affermato anche che sarebbe stata la mia palestra e qui ho trascurato le mie intenzioni. Mi sono comportata esattamente come si comportano quelle persone che tanto disprezzo, quelle che vanno in palestra per sfoggiare il nuovo completino e non per allenarsi davvero. Questo perché il pubblico si differenzia psicologicamente dal privato. E se nel privato tu vai libero, ti comporti come meglio credi, nel pubblico cerchi di non deludere le aspettative (queste odiose aspettative!).

Ed ecco che anche io sono caduta nella trappoletta, andando a inciampare là dove non avrei dovuto, dimenticando il perché. Perché ero qui? 

Ma sopratutto, perché ci torno?

É il nido, come direbbe Holmes. Si torna al nido. Dopo essere andati ad esplorare il mondo, il nido è la base sicura dove tornare. Dopo tanto tempo mi sono resa conto che la base sicura per me non è un luogo, non è una persona (e qui Holmes probabilmente mi bacchetterebbe, ma tant'è), ma la scrittura. Le parole, queste letterine ordinate l'una accanto all'altra, il rumore rassicurante dei tasti, la luce nevrotica che viene dal pc...io amo tutto questo. Amo scrivere, e anche se non è necessario il mio sproloquiare in lemmi, probabilmente lo è per me.

Quindi torno in questo blog fantasma.

Torno sperando, torno amando, torno con il sorriso e citando la frase di benvenuto che ho appeso alla mia porta:


              Lar doce lar