Già
il titolo di questo libro dice molto. È la carne viva che si contrappone a
quella morta servita nei piatti che Marie porta su e giù ogni sera durante il
suo turno al Ristorante. Ma è anche e sopratutto la carne che vuole essere
viva, che lo desidera così intensamente da far male. L'unica soluzione per
Marie è allora farsene di più, spingersi oltre per non sentire più quel dolore.
Dopotutto il dolore della carne è più sopportabile di quello che porta dentro.
Una
vita cominciata con il piede giusto, la sua: voti alti a scuola e la
prospettiva di un futuro brillante. Tutto
però finisce presto, a 17 anni, quando rimane incita e partorisce una figlia. Sposa
il padre della bambina, un uomo che la ama, che farebbe di tutto per quella
nuova, piccola famiglia. Ma a Marie non basta. Oppure non ne è proprio capace. Spingerà
la sua vita al limite, tra droghe alcol e sesso, in un oscillare continuo tra
vita e morte, desiderio e angoscia.
Le
quinte di questa storia sono un Ristorante, con la R maiuscola, uno qualsiasi,
uno dei tanti in cui Marie ha lavorato, dove si intrecciano le vite di
lavapiatti messicani e camerieri africani. E ragazze americane che ancora non
sanno cosa fare con la propria vita, letteralmente. Ed ecco che lavorare crea quello spazio
grigio, di non pensiero, che calma e appaga, nonostante la stanchezza fisica e
le umiliazioni subite da uomini che le danno pacche sul sedere o la chiamano
Stellina.
Un
romanzo d'esordio che colpisce, questo della Tierce, e una prosa al limite del
glaciale. Ma non potrebbe essere altrimenti. Non si può descrivere la
disperazione in modo disperato. La si può porgere su un piatto e aspettare solo
che qualcuno la noti, senza pretenderlo.
Un libro
che coinvolge, non ti molla. Perfetto nella sua imperfezione.
Nessun commento:
Posta un commento