Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

venerdì 14 luglio 2017

Fernanda, Giulia Romoli

“Vacci piano, che così ti porti via un dito, eh!” gli dice Josè dall'altra parte della cucina. I vapori delle pentole gli impediscono di vederlo, ma dal tono della voce Fernando sa che sta ridendo. Guarda il coltello e le sue unghie che vorrebbe laccate di rosso, come la sera. Ma è giorno, a João Pessoa. E di giorno si indossano i pantaloni.
Josè è bello:  Fernando vorrebbe perdersi in quegli occhi ubriachi di notti insonni, desidera le sue mani sopra di sé, sopra un corpo ancora acerbo. Vorrebbe lasciarlo quel lavoro che trasuda grasso dalle mattonelle, che  sa di fritto sulla pelle, di pentole incrostate, di verdure marce, di carne putrida. Ma che profuma di Josè, della sua pelle di bronzo, dell'accenno di barba sugli zigomi. E mentre affetta le verdure cerca il suo sguardo, cerca una conferma. E Josè alza gli occhi, lo guarda, si avvicina. Indica una cameriera appena fuori dalla porta e sorride.
“Se tutto va bene quella stasera me la faccio ...", dice Josè.
"Non mi sembra granché", (risponde Fernando).
"Tu scherzi, vero? Glielo hai visto il culo?"
"Ce ne sono di meglio"
"Ma che, non sarai mica frocio?"
“Il tuo turno è finito!” gli dice qualcuno toccandogli una spalla. Fernando si toglie lentamente il grembiule ed esce senza dire nulla.
Nella notte brasiliana cammina sicura sui tacchi, mentre una pioggia vivace di luci le bagna i capelli. La città è colorata, è viva. Gli si mostra come un vestito di paillettes, luccicante ovunque volga lo sguardo. La incanta, la inebria. È ricca di possibilità e lei le vuole cogliere tutte. Per l'Avenida affollata del barrio della Torre ride, è felice, è Fernanda lì e può dimenticare le pentole, la puzza. Può dimenticare Josè.
Una macchina accosta al marciapiede. Dentro un gruppo di ragazzi ridono, ubriachi.
“ Vuoi un passaggio, bella?” dice quello alla guida.
Un altro dietro abbassa il finestrino e ride.
"Non lo vedi che è un maledetto veado?"
Fernanda quella voce la conosce e si tira indietro spaventata, tenta di coprirsi il volto, rifugiandosi nell'ombra, ma ormai è tardi, Josè l'ha vista. Mentre l'auto riparte, lui si sporge dall'auto, la bocca spalancata, e Fernanda lo segue fino a che la strada non ingoia la sua figura.
Il giorno dopo la cucina accoglie Fernando in silenzio, nessuno parla, l'aria è vischiosa e immobile. È Josè il primo a rompere quella che agli occhi di Fernando sembra una fotografia, posa il coltello con forza sul tagliere, si avvicina e il tempo svanisce nell'attesa di un gesto. Entrambi alzano le mani, il primo per attaccare e il secondo per difendersi, e in quel momento Fernando ha di nuovo sei anni e davanti allo specchio nella sua stanza lascia cadere le noci di cocco che teneva premute sul petto, alza le braccia sulla testa, ma sua madre lo colpisce lo stesso con tanta violenza da farlo cadere a terra.
"Mamma, ti prego" bisbiglia Fernandinho  steso sul pavimento unto della cucina.
"Non ti voglio nella mia casa", urla sua madre.
"Non ti voglio nella mia cucina", urla Josè.
Il tempo si ricongiunge e le luci del neon gli lacerano gli occhi.
Fernanda è nella sua stanza, si sta vestendo per uscire. Ammira allo specchio la sua nuova nudità: i piccoli seni, le natiche gonfie. Ancora un po' di sofferenza sulla pelle, ancora il ricordo degli aghi. Ma il dolore della bellezza non le fa paura. Rifinisce gli occhi, passa leggera il rossetto, va incontro a una nuvola di profumo.
Il marciapiede quella sera la accoglie e la invita al suo nuovo spettacolo. Si mostra agli uomini, manda baci divertita alle sue compagne. Un passante le tocca la spalla, le chiede un po' del suo tempo, le indica una macchina. Ha qualcosa di commovente negli occhi e le mani rassicuranti.
“Ti faccio un po' di sconto se ti fai chiamare Josè”, gli dice seguendolo.
“ E io, come ti devo chiamare?”
“ Io sono Princesa”.     


Oro colato, Edoardo Albinati

Ho  letto nel corso di questi ultimi anni un sacco di libri sulla scrittura. Molti sono semplicemente consigli, alcuni veri e propri manuali, si parla di plot, climax, anticlimax, costruzione del personaggio etc. Questi ultimi sono indubbiamente utili per chi come me è alle prime armi, ma del tutti freddi. È il lavoro di falegnameria di cui parla Cerami. Tutta la magia che invece si nasconde dietro all'atto della scrittura vi è quasi negato.
Albinati in questo saggio non scrive solo di magia. Ma riesce in una mediazione che devo dire mi ha colpito molto. Sono le trascrizioni di otto lezioni non di scrittura, ma sulla materia della scrittura.
In modo del tutto inaspettato ci accompagna alla scoperta della nascita di un libro, dal primo spunto che genera il desiderio in colui che scrive, fino all'ultima parola messa nel testo. O cancellata. Il concetto di demolizione è sempre presente, così come quello del sacrificio. Questa idea quasi religiosa della scrittura (o magica) credo sia la mia preferita: dietro ad ogni opera che volge alla perfezione, scrive Albinati, si nasconde un atto essenzialmente di carattere distruttivo. Bruciare incenso, spandere olio, sgozzare il capro. Poco dopo introduce un tema ulteriore: l'officiante in qualche misura diventa egli stesso l'oggetto del sacrificio. Il sacrificante diventa il sacrificato.

Con un stile discorsivo che coinvolge e che, sinceramente, mi ha fatto apprezzare ulteriormente questo saggio, e moltissime idee illuminanti, non posso che raccomandare questo libro a chiunque desideri capire il meccanismo che muove l'uomo a cercare carta e penna. Ma anche semplicemente a leggere un buon libro.