“Vacci piano, che così ti porti via
un dito, eh!” gli dice Josè dall'altra parte della cucina. I vapori delle
pentole gli impediscono di vederlo, ma dal tono della voce Fernando sa che sta
ridendo. Guarda il coltello e le sue unghie che vorrebbe laccate di rosso, come
la sera. Ma è giorno, a João Pessoa. E di giorno si indossano i pantaloni.
Josè è bello: Fernando vorrebbe perdersi in quegli occhi
ubriachi di notti insonni, desidera le sue mani sopra di sé, sopra un corpo
ancora acerbo. Vorrebbe lasciarlo quel lavoro che trasuda grasso dalle
mattonelle, che sa di fritto sulla
pelle, di pentole incrostate, di verdure marce, di carne putrida. Ma che
profuma di Josè, della sua pelle di bronzo, dell'accenno di barba sugli zigomi.
E mentre affetta le verdure cerca il suo sguardo, cerca una conferma. E Josè
alza gli occhi, lo guarda, si avvicina. Indica una cameriera appena fuori dalla
porta e sorride.
“Se tutto va bene quella stasera me
la faccio ...", dice Josè.
"Non mi sembra granché",
(risponde Fernando).
"Tu scherzi, vero? Glielo hai
visto il culo?"
"Ce ne sono di meglio"
"Ma che, non sarai mica
frocio?"
“Il tuo turno è finito!” gli dice
qualcuno toccandogli una spalla. Fernando si toglie lentamente il grembiule ed
esce senza dire nulla.
Nella notte brasiliana cammina sicura
sui tacchi, mentre una pioggia vivace di luci le bagna i capelli. La città è
colorata, è viva. Gli si mostra come un vestito di paillettes, luccicante
ovunque volga lo sguardo. La incanta, la inebria. È ricca di possibilità e lei
le vuole cogliere tutte. Per l'Avenida affollata del barrio della Torre ride, è
felice, è Fernanda lì e può dimenticare le pentole, la puzza. Può dimenticare
Josè.
Una macchina accosta al marciapiede.
Dentro un gruppo di ragazzi ridono, ubriachi.
“ Vuoi un passaggio, bella?” dice
quello alla guida.
Un altro dietro abbassa il finestrino
e ride.
"Non lo vedi che è un maledetto veado?"
Fernanda quella voce la conosce e si
tira indietro spaventata, tenta di coprirsi il volto, rifugiandosi nell'ombra,
ma ormai è tardi, Josè l'ha vista. Mentre l'auto riparte, lui si sporge
dall'auto, la bocca spalancata, e Fernanda lo segue fino a che la strada non
ingoia la sua figura.
Il giorno dopo la cucina accoglie
Fernando in silenzio, nessuno parla, l'aria è vischiosa e immobile. È Josè il
primo a rompere quella che agli occhi di Fernando sembra una fotografia, posa
il coltello con forza sul tagliere, si avvicina e il tempo svanisce nell'attesa
di un gesto. Entrambi alzano le mani, il primo per attaccare e il secondo per
difendersi, e in quel momento Fernando ha di nuovo sei anni e davanti allo
specchio nella sua stanza lascia cadere le noci di cocco che teneva premute sul
petto, alza le braccia sulla testa, ma sua madre lo colpisce lo stesso con
tanta violenza da farlo cadere a terra.
"Mamma, ti prego" bisbiglia
Fernandinho steso sul pavimento unto
della cucina.
"Non ti voglio nella mia
casa", urla sua madre.
"Non ti voglio nella mia
cucina", urla Josè.
Il tempo si ricongiunge e le luci del
neon gli lacerano gli occhi.
Fernanda è nella sua stanza, si sta
vestendo per uscire. Ammira allo specchio la sua nuova nudità: i piccoli seni,
le natiche gonfie. Ancora un po' di sofferenza sulla pelle, ancora il ricordo
degli aghi. Ma il dolore della bellezza non le fa paura. Rifinisce gli occhi,
passa leggera il rossetto, va incontro a una nuvola di profumo.
Il marciapiede quella sera la
accoglie e la invita al suo nuovo spettacolo. Si mostra agli uomini, manda baci
divertita alle sue compagne. Un passante le tocca la spalla, le chiede un po'
del suo tempo, le indica una macchina. Ha qualcosa di commovente negli occhi e
le mani rassicuranti.
“Ti faccio un po' di sconto se ti fai
chiamare Josè”, gli dice seguendolo.
“ E io, come ti devo chiamare?”
“ Io sono
Princesa”.
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