Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

martedì 22 luglio 2014

Il senso degli opposti: Molinella, 09/09/12. Parte 1

La tensione sale non appena metto piede a terra e uno Skyvan truccato da Nemo, il pesce della Disney, ci sfiora la testa. Guardo mio fratello, che non so come ha fatto a convincermi, mi dico. Un salto con il paracadute da 4200 metri. Io che non monto nemmeno sulle montagne russe. Io che ho paura persino del Topozorro.  Poi con la mente torno alla sera in cui gli ho detto: lo faccio!, ai nostri visi arancioni di tramonto e stanchezza, a quel suo dirmi che da lassù tutte le cose, anche i pensieri, si cambiano d'abito e i problemi diventano di colpo insignificanti. Il corpo sparisce e sei solo mente.
Qualcosa del genere.
Lui scende dall'auto paracadute e famiglia, io faccio due parole con la mia e con le altre due persone che proveranno oggi insieme a me l'ebbrezza del tandem, vale a dire il lancio dal paracadute agganciato a un istruttore. Stanno sbadigliando, e concludo che sia stata proprio la loro mancanza perenne di riposo ad averli convinti.
Così motivata faccio un'ora di fila per il check in e compilo il foglio dopo avergli dato solo un'occhiata distratta, ignorando di proposito le parti da firmare in cui il circolo non si ritiene responsabile di. Incidente? Morte? Non voglio saperlo. Ormai ho deciso di fare una cazzata e questa è decisamente una cazzata vestita a festa.
L'interno dell'hangar è un delirio di vestiti sul pavimento e un traffico di corpi e zaini. Sembra di essere a Malpensa in un giorno di sciopero. Ragazzi e ragazze in costume,con le tute da lancio infilate a metà, scalzi, spettinati. Alcuni ripiegano il paracadute, altri scrivono il proprio nome con il pennarello sul tabellone dei voli. Ogni tanto, da un altoparlante, qualcuno chiama i nomi per il volo, avvisa che è disponibile il servizio bar e comunica cose curiose sulle quali non voglio indagare troppo: avvertenza sanitaria, qualcuno ha ingerito per errore le pillole di Viagra...
L'ambiente è sporco, caotico e decisamente divertente. Mi sento subito a casa.
Mentre aspetto il mio turno vado vicino alla piscina, mi faccio due foto (delle quali mi pento subito dopo lo scatto), osservo gli altri paracadutisti scendere come pallottole colorate e mangio qualcosa. Vietato bere alcolici prima del lancio, recita un cartello. Rimando il brindisi a più tardi, quando, in fin dei conti, avrà anche più senso.
Sono le due del pomeriggio quando chiamano il mio nome.
Mentre finisco di prepararmi, più psicologicamente che altro, scopro che oltre al mio istruttore, che decido di chiamare Il mio migliore amico per trenta minuti, si lancerà al mio fianco anche un ragazzo-video.
Hai firmato per averlo, dice, non ricordi? La telecamerina mi fissa con il suo enorme occhio dal casco.
Mi stendo in faccia il sorriso migliore che riesco a fare e annuisco, poco convinta. Chissà che altro ho firmato, penso.
Il mio migliore amico per trenta minuti è molto giovane. Mio fratello prova a rassicurarmi sul numero di lanci che ha già fatto, ma le referenze in quel momento contano e non contano. Anzi, non contano affatto. Conta solo la sensazione di sicurezza che è in grado di darmi. E decido di dargli fiducia. Non che abbia molte altre scelte.
Mi spiega a cosa servono delle cinghie che mi sta allacciando, cosa faremo sull'aereo e cosa invece durante il lancio. Parla lentamente, in modo chiaro e guardandomi negli occhi e sento che le mascelle si rilassano e la bocca si distende tutta. Il corpo ancora oppone resistenza.
Il mio migliore amico per trenta minuti passa poi a illustrarmi i codici manuali.
Indice e medio: sposta la posizione delle gambe durante la caduta; mano avanti e indietro ripetutamente: rilassati; tocco su una spalla: vuoi sorridere alla telecamera per piacere?
Riguardando il video, in realtà, durante quei cinque minuti che impiega a imbracarmi  sembra che sia io a spiegare delle cose a lui, ma non ricordo neanche una parola di quello che gli ho detto. Brutto segno.

Dopo la vestizione cammino come Robocop fino alla navetta che ci porterà sull'aereo. Ottengo un posto privilegiato accanto all'autista. Dietro, il resto del branco. Alla prima buca una voce urla: ma chi ti ha dato la patente, Paperino?  Chiudo gli occhi per non vedere la fifa che sento salire come un palloncino pronto a esplodere. 



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