Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

mercoledì 14 maggio 2014

Primo SalTo: Valeria Parrella, Tempo di imparare- Salone del libro di Torino 2014

Sono arrivata al Salone da nemmeno mezz’ora e già mi metto in fila: devo avere una vena masochistica.
La signora davanti a me srotola la mappa del programma  dove ha segnato con cura gli eventi da seguire. Contemporaneamente nella mia borsa il tablet lancia un grido: è l’app del Salone che ho scaricato e che mi avvisa dell’inizio della presentazione del nuovo libro della Parrella, edito da Einaudi. Facendo finta di nulla lo tiro fuori dalla borsa e incrocio lo sguardo divertito della signora Programma-cartaceo. Mi vergogno un po’ di essere diventata tanto tecnologica (dato che poi ci capisco poco), ma alla fine devo ammettere che per orientarmi tra i vari stand mi è stato utilissimo e mi ha fatto risparmiare un sacco di tempo.
La sala è piena: la Parrella, Bartezzaghi e De Silva aspettano composti che tutti si siedano prima di iniziare.
L’autrice inizia  con la lettura dell’incipit e sono già rapita dal ritmo delle sue parole.
Il libro parla di un bambino con disabilità, autistico, e della lotta di sua madre per fondare un linguaggio comune tra loro, un linguaggio emotivo. Ma non solo. La madre, spiega Bartezzaghi, fa un atto di volontà, adottando il proprio figlio e raggiungendo quasi un grado di militanza genitoriale. Parla di Napoli, questo libro, pur non citandola mai. Parla dei dolori e delle angosce dell’essere madre, di questo mestiere sporco. Ma è anche una sperimentazione letteraria, aggiunge: salta lo schema tempo-spazio-soggetto della narrativa, li svuota. La struttura è quella del monologo che parla a un Tu che non risponde e articola di capitolo in capitolo il tentativo di rigenerare una lingua, una lingua negata: un atto di coraggio.
  De Silvia cita Franzen: in un’opera narrativa efficace è necessario sentire che l’autore riesce a confidarsi. Non ha a che fare con l’autobiografia, ma con la capacità di raggiungere il lettore. Ci sono io in ogni libro, ammette Valeria. Giovane, la faccia pulita, la scrittrice volta lo sguardo verso i suoi due presentatori e sembra quasi stupita delle parole che la elogiano e che sviscerano così in profondo il suo romanzo. Dopotutto scrivere è quasi un fatto mistico e non contiene preterintenzionalità.
Ascolto con attenzione le sue parole finali, soffocate dagli applausi. Compito della letteratura, conclude, è sdoganare situazioni che tutti sanno, ma che non dicono. È abbattere quel senso di omertà che le avvolge.

E non potrei essere più d’accordo.

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