Sono arrivata al Salone da nemmeno mezz’ora e già mi metto in
fila: devo avere una vena masochistica.
La signora davanti a me srotola la mappa del programma dove ha segnato con cura gli eventi da seguire.
Contemporaneamente nella mia borsa il tablet lancia un grido: è l’app del Salone
che ho scaricato e che mi avvisa dell’inizio della presentazione del nuovo
libro della Parrella, edito da Einaudi. Facendo finta di nulla lo tiro fuori dalla
borsa e incrocio lo sguardo divertito della signora Programma-cartaceo. Mi
vergogno un po’ di essere diventata tanto tecnologica (dato che poi ci capisco
poco), ma alla fine devo ammettere che per orientarmi tra i vari stand mi è
stato utilissimo e mi ha fatto risparmiare un sacco di tempo.
La sala è piena: la Parrella, Bartezzaghi e De Silva aspettano
composti che tutti si siedano prima di iniziare.
L’autrice inizia con la
lettura dell’incipit e sono già rapita dal ritmo delle sue parole.
Il libro parla di un bambino con disabilità, autistico, e della
lotta di sua madre per fondare un linguaggio comune tra loro, un linguaggio
emotivo. Ma non solo. La madre, spiega Bartezzaghi, fa un atto di volontà,
adottando il proprio figlio e raggiungendo quasi un grado di militanza
genitoriale. Parla di Napoli, questo libro, pur non citandola mai. Parla dei
dolori e delle angosce dell’essere madre, di questo mestiere sporco. Ma è anche
una sperimentazione letteraria, aggiunge: salta lo schema tempo-spazio-soggetto
della narrativa, li svuota. La struttura è quella del monologo che parla a un
Tu che non risponde e articola di capitolo in capitolo il tentativo di
rigenerare una lingua, una lingua negata: un atto di coraggio.
De Silvia cita Franzen: in un’opera narrativa efficace
è necessario sentire che l’autore riesce a confidarsi. Non ha a che fare con l’autobiografia,
ma con la capacità di raggiungere il lettore. Ci sono io in ogni libro, ammette
Valeria. Giovane, la faccia pulita, la scrittrice volta lo sguardo verso i suoi
due presentatori e sembra quasi stupita delle parole che la elogiano e che
sviscerano così in profondo il suo romanzo. Dopotutto scrivere è quasi un fatto
mistico e non contiene preterintenzionalità.
Ascolto con attenzione le sue parole finali, soffocate dagli
applausi. Compito della letteratura, conclude, è sdoganare situazioni che tutti
sanno, ma che non dicono. È abbattere quel senso di omertà che le avvolge.
E non potrei essere più d’accordo.
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