Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

lunedì 26 maggio 2014

Viole nere, Tess Gallagher

Viole nere è una raccolta di sette racconti e quarantanove poesie.
È un libro che nasce con un handicap, quello del nome, legato a Raymond Carver, che in tanti hanno battezzato come maestro della nuova narrativa americana.
È quindi molto difficile, direi impossibile, non fare confronti. Tess, moglie di Carver fino alla sua morte avvenuta nel 1988, è principalmente una poetessa. La sua produzione poetica è ricca, a tratti estremamente profonda e immaginifica. Sentire: è questo il verbo che più di ogni altra cosa prevale leggendole.
Ma la vera prova che Tess non supera in questo libro sono i racconti. I protagonisti sono gli stessi di Carver: uomini e donne ripresi nel loro quotidiano, legati a vite qualsiasi i cui frammenti vengono ritratti nel momento in cui si affacciano su un baratro. L’abilità di Carver è sempre stata quella di non mostrare quasi mai la loro caduta, ma di farcela intuire, spesso. Tutto il non detto riempie le pagine e trabocca dal foglio. È soprattutto questo che anche Tess cerca di fare: non dire. E, purtroppo, ci riesce fin troppo bene, ancorando i suoi racconti, non riuscendo a trasmetterli nel cuore del lettore  fino in fondo. Resta ben poco dopo la lettura: un vago senso di confusione dovuto al tentativo di scavare una terra troppo dura.
Il suo stile è pietosamente impreciso. Le parole – l’unica cosa che abbiamo, diceva Carver- non sono selezionate. I suoi racconti avrebbero avuto bisogno di un rastrellamento degli inutili. Tutto quello che c’è di vero e onesto, a tratti, nelle sue poesie non riesce a riportarlo in prosa, sovraccaricandola di un tono che si sente chiaramente non appartenerle.
L’ultimo racconto è quello che fa crollare definitivamente la raccolta. È una correzione di un resoconto, come la narratore afferma alla prima riga. Il resoconto è quello del signor Gallivan, continua, mediocre scrittore in cerca di fama. Il resoconto è Cattedrale, uno dei racconti più famosi di Carver.
È una prova in cui solo un suicida si sarebbe cimentato: perché è proprio qui che si misura la incolmabile distanza. Mentre Carver riesce in modo brillante a dare una profondità che commuove  all'apparente superficie della narrazione di una visita di un cieco a casa sua, Tess si impegna –con  molta fatica e pochissima resa-  nella correzione degli errori  del primo narratore, obbligandoci quindi al confronto. C’è qualcosa di eccessivamente frettoloso nelle sue frasi e alla fine viene divelto il tema centrale, quello morale. Il suo racconto resta privo di qualsiasi finale, dove non succede nulla e nessuno impara nulla.
Resta vaga l’impressione che, se Tess si fosse impegnata meno a imitare lo stile del marito, forse l’avremmo letta più volentieri.

E chiusa l’ultima pagina verrebbe voglia di dirle, come lo stesso Carver forse avrebbe fatto: niente trucchi da quattro soldi…






                                                              

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