Pasolini e il Nuovo Potere-Parte 1
Nel 1973, in un articolo sul "Tempo illustrato"[1], criticando i temi di italiano dati all'esame di maturità dello stesso anno, scrive: «La restaurazione o rivoluzione reale cominciata nel 1971-1972[...] è in realtà una rivoluzione. [...]Essa tende a cancellare il passato, con i suoi "padri", le sue religioni, le sue ideologie e le sue forme di vita(ridotte oggi a mera sopravvivenza). Questa rivoluzione di destra, che ha distrutto prima di ogni cosa la destra, è avvenuta fattualmente, pragmaticamente. Attraverso una progressiva accumulazione di novità (dovute quasi tutte all'applicazione della scienza): ed è cominciata dalla rivoluzione silenziosa delle infrastrutture». La civiltà tecnologica, voluta dal Nuovo Potere, ha generato un nuovo mondo distruggendo le vecchie istituzioni sociali, quali la famiglia, cultura, la lingua, la Chiesa. Anche « la "vera" tradizione umanistica[...] viene distrutta dalla nuova cultura di massa e dal nuovo rapporto che la tecnologia ha istituito -con prospettive ormai secolari- tra prodotto e consumo»[2].
Nel 1973, in un articolo sul "Tempo illustrato"[1], criticando i temi di italiano dati all'esame di maturità dello stesso anno, scrive: «La restaurazione o rivoluzione reale cominciata nel 1971-1972[...] è in realtà una rivoluzione. [...]Essa tende a cancellare il passato, con i suoi "padri", le sue religioni, le sue ideologie e le sue forme di vita(ridotte oggi a mera sopravvivenza). Questa rivoluzione di destra, che ha distrutto prima di ogni cosa la destra, è avvenuta fattualmente, pragmaticamente. Attraverso una progressiva accumulazione di novità (dovute quasi tutte all'applicazione della scienza): ed è cominciata dalla rivoluzione silenziosa delle infrastrutture». La civiltà tecnologica, voluta dal Nuovo Potere, ha generato un nuovo mondo distruggendo le vecchie istituzioni sociali, quali la famiglia, cultura, la lingua, la Chiesa. Anche « la "vera" tradizione umanistica[...] viene distrutta dalla nuova cultura di massa e dal nuovo rapporto che la tecnologia ha istituito -con prospettive ormai secolari- tra prodotto e consumo»[2].
Scompaiono dunque non solo le culture originali e differenziate
del mondo contadino e sottoproletario, ma anche la borghesia paleoindustriale.
Tutte queste classi vengono unificate e omologate per creare una nuova
borghesia, completamente dedita al consumo. Nel 1975, poco prima di morire,
afferma che in Italia tutti sono diventati borghesi, anche se le differenze
continuano a sussistere economicamente: esiste cioè una classe borghese povera
e una ricca. La scomparsa delle minoranze e delle diversità, dei particolarismi
e della realtà, va di pari passo con la scomparsa dei sorrisi e della felicità.
Parla di genocidio delle classi
subalterne, voluto dalla società dei consumi e coadiuvato dai giovani, i quali
hanno compiuto una vera e propria abiura
dei modelli precedenti di vita.
Ma, ancor più tragico per un poeta, Pasolini
assiste all'impoverimento progressivo della lingua. Il linguaggio è stato
segnato anch'esso dall'omologazione, spesso diventando puro tecnicismo. L'italiano
è stata una lingua esclusivamente letteraria per secoli e il centro era
Firenze, grazie ad artisti come Dante o Boccaccio. Ma dopo la fine della guerra ha subito un
cambiamento: il centro non è più letterario e non è più Firenze, bensì è
tecnico-tecnologico ( basti pensare, afferma, alla parola "frigorifero",
utilizzata in tutta Italia nello stesso identico modo) e ha come capo Milano. A
questo radicale cambiamento contribuiscono i giornali, l'accrescimento delle
infrastrutture e, sopratutto, la televisione. Il
Nuovo Potere si serve degli strumenti della tecnologia in maniera subdola. È
una violenza non esplicita e per questo
ancor più pericolosa perché invisibile o quasi. La televisione ha
contribuito a diffondere l'ideologia reale del potere che si fonda sull'edonismo
del potere consumistico e crea vittime innocenti, come ad esempio la Marylin
Monroe ritratta ne "La rabbia", la «sorellina ubbidiente», la cui «bellezza
sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo
presente, divenne un male mortale».
«I mezzi però non sono niente» afferma
Pasolini, «sono strumenti neutri. Ma
appena se ne impadroniscono i mediatori della cultura di massa ecco che
oltrepassano la loro funzione di strumenti, che si "divinizzano": se
ne fanno una "divinità" al servizio del culto del Potere e del Denaro[3]».
Attraverso la televisione i "modelli" non vengono parlati, ma
rappresentati. Sono modelli tali da rendere la gioventù più indifesa criminale
o criminaloide. «È stata la televisione
che ha, praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l'era della pietra e
iniziato l'era dell'edonè[4]».
La proposta di Pasolini per eliminare la criminalità è quella provocatoria di
abolire la televisione. Così come propone di abolire la scuola dell'obbligo, in
quanto scuola di iniziazione alla cultura piccolo-borghese, fatta di nozionismo
statico e moralismo. La criminalità è una conseguenza diretta del modo di
essere della società dei consumi: «il
consumismo ha distrutto cinicamente un mondo "reale", trasformandolo
in una totale irrealtà, dove non c'è più scelta possibile tra bene e male[5]».
Lo
scrittore prende atto dolorosamente di una
vera e propria afasia, cioè una
perdita delle capacità linguistiche. «Tutta l’Italia centro-meridionale aveva
proprie tradizioni regionali, o cittadine, di una lingua viva, di un dialetto
che era rigenerato da continue invenzioni, e all’interno di questo dialetto, di
gerghi ricchi - di invenzioni quasi poetiche: a cui contribuivano tutti, giorno
per giorno, ogni serata nasceva una battuta nuova, una spiritosaggine, una
parola imprevista; c’era una meravigliosa vitalità linguistica. Il modello
messo ora lì dalla classe dominante li ha bloccati linguisticamente:
a Roma, per esempio, non si è più capaci di inventare, si è caduti in una
specie di nevrosi afasica; o si parla una lingua finta, che non conosce
difficoltà e resistenze, come se tutto fosse facilmente parlabile - ci si
esprime come nei libri stampati - oppure si arriva addirittura alla vera e
propria afasia nel senso clinico della parola; si è incapaci di inventare
metafore e movimenti linguistici reali, quasi si mugola, o ci si danno
spintoni, o si sghignazza senza saper dire altro»[6].
Parlando della generazione dei giovani contestatori afferma: «Credo di poter affermare che una delle ragioni essenziali della grande
inquietudine dei giovani di oggi è appunto l'ignoranza di cui si compiacciono;
direi anzi una certa qualità di ignoranza[7]». Rifiutano una cultura plasmata allo stampo del mondo
preindustriale, i cui ideali non sono più adatti agli imperativi dell'esistenza
moderna. Paradossalmente, essi «lottano
contro questo neocapitalismo, ma in effetti ubbidiscono a loro insaputa alle
sue esigenze sacrileghe[8]». Non innovano nel
quadro della cultura paterna, ma la rifiutano.
La perdita di linguaggio per Pasolini coincide drammaticamente con la
perdita della propria poetica. È la perdita di un mondo poetico quella che
l'autore rimpiange, il mondo da lui descritto già in "Ragazzi di
vita" o filmato in "Accattone", dove « er mondo è de chi c'ha li denti». Perso il particolarismo
dialettale, l'autore sente di non avere più una lingua con cui rappresentare il
mondo e non è più capace di identificarsi con esso. Il cinema per Pasolini è
stato una scelta di linguaggio: girando i primi film ricorreva al linguaggio
naturale della realtà. Finita la realtà così come lui la aveva amata ( la
realtà del sottoproletariato, del mondo contadino) il poeta si trova perduto e
costretto a inventare una nuova poetica, una poetica fatta di pluralità di
scritture e ben rappresentata da Petrolio,
quella forma-progetto dove l'oggetto estetico non conta più. Il Nuovo Potere
gli ha tolto una lingua con cui rappresentare il mondo. E Pasolini non può fare
altro che rappresentarlo in modo tragico e carico di nostalgia, come ne La Rabbia.
[1] PIER
PAOLO PASOLINI; "P:giudica i temi di italiano", Tempo illustrato,
1973. Ora in Scritti corsari con il titolo"La prima vera rivoluzione di
destra", pp. 17-21
[2] Ibid.
[3] PIER
PAOLO PASOLINI; "Il sogno del centauro", intervista a cura di J.
Duflot
[4] PIER
PAOLO PASOLINI, "Aboliamo la tv e la scuola dell'obbligo", Corriere
della sera, 1975
[5] Ibid.
[6] PIER
PAOLO PASOLINI, "Il genocidio", Scritti Corsari, pp. 226-231
[7] PIER
PAOLO PASOLINI, "Il sogno del centauro", intervista a cura di J.
Duflot
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