Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

lunedì 22 gennaio 2018

Il libro dell'acqua, Eduard Limonov

Il 2018 per me è iniziato in Russia. O meglio, in Ucraina, a Kharkov. Qui comincia la storia di Limonov. Personaggio controverso, definito scrittore e politico russo. Ma dirlo così è riduttivo. Limonov me lo ha fatto conoscere Carrere, che ha scritto la sua splendida biografia. Passare a leggere Il libro dell’acqua è stato un passo necessario.
Eduard Limonov, il cui vero nome è Eduard Veniaminovich Savenkonasce, nasce in Russia come poeta. Diventa scrittore grazie al libro Io,Édichka, in Italia uscito con il titolo Il poeta russo prefisse i grandi negri, a cui seguiranno altri libri, sempre autobiografici. Nel 1991, dopo anni passati prima a New York, poi a Parigi, torna in Russia dove fonda un giornale, Limonka, e un partito , il Partito Nazional Bolscevico. Nel 2001 viene arrestato con l’accusa di terrorismo e traffico di armi. Viene rinchiuso nel carcere di Lefortovo, dove scrive proprio questo libro, Il libro dell’acqua.
La struttura è semplice: si tratta di piccoli brani dedicati a tutte le acque che ha visto e in cui si è bagnato nel corso della sua vita: dai mari ai fiumi, dagli stagni alle fontane per finire alle saune. Non c’è un ordine cronologico, come lui stesso scrive: “Questi miei ricordi si possono leggere a partire da qualsiasi pagine e seguendo qualsiasi direzione. Nuotano nell’eternità, non hanno bisogno di dimensioni perché sono disciolti nell’eternità”. 
A leggerlo, Limonov appare proprio quel grande egocentrico di cui tutti parlano. E probabilmente lo è. La sua egosfera è di proporzioni cosmiche e mai in discussione. Ma forse, e dico forse, è proprio questo che lo rende un bravo scrittore. No, non uno scrittore eccelso, ma ha occhi da scrittore e non ci sia lascia abbindolare dalla sua narrazione di imprese incredibili, che tuttavia non ho alcun problema a considerare in larga parte vera. Si fluttua tra mari e fiumi e il viaggio è oltremodo piacevole. Sa come affascinare e, sebbene talvolta calchi un po’ troppo la mano, il quadro complessivo è riuscito. Ha un buon utilizzo delle immagini e uno sguardo privo di condiscendenza. Ci sono descrizioni di luoghi senza pietà, come la spiaggia di Ostia o la fontana di Trevi, che Limonov liquida così:  “Di per sé la fontana non era nulla di speciale. Una costruzione acquosa, vischiosa, ossidata. Sulle cartoline fa miglior figura”. È uno sguardo immediato, quasi bambinesco, del tutto capace di irritarti e irretirti allo stesso tempo. 
Alcuni brani sono coerenti, seguono la narrazione dell’acqua, altri si perdono nell’esosfera limonoviana, ma questo non li rende meno affascinante. Una presenza costante nelle sue narrazioni sono le donne. E la guerra. Come se queste fossero le uniche vie di accesso alla gloria. E se da una parte leggiamo un Limonov sempre più innamorato e distrutto dall’amore, dall’altra c’è l’uomo che combatte solo per il gusto di combattere, perché la guerra è una droga, come le donne. 
Personaggio controverso, lo ripeto, scrittore controverso e controcorrente, che si auto definisce “l’autore dei migliori libri della controcultura occidentale” in uno dei suoi (frequenti) attacchi di mania di grandezza. Ma dopotutto scrive: “Incoraggiate la mania di grandezza! Coltivate in ogni modo la vostra differenza dagli altri. Non c’è nessun senso ad assomigliare a questa marmaglia”
Una vita vissuta a 360 km orari. Forse davvero una vita di merda, come dice a Carrere nella sua ultima intervista. O forse esattamente la vita di merda che voleva. Resta il fatto che Eduard Limonov non riesce a passare per occhio. Una volta entrato, difficile venirne fuori. 
È esattamente questa la vita che ho voluto:”, scrive ”caledoiscopica, arrischiata, sfavillante”.

E io non ho alcun dubbio. 




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