La prima volta è stato con Sofia. Ho letto due sole pagine e
me ne sono innamorata. Poi ho percorso il fiume al contrario, sono arrivata ai
suoi primi racconti. Mi ha sempre colpito il suo stile, così dannatamente
preciso. Eccolo, il cavallo di battaglia di Cognetti: quell'incredibile
precisione delle parole. Sulla pagina si dischiudono come fiori.
"Le otto montagne" è il suo primo romanzo. Valeva la
pena di aspettare che sperimentasse prima con i racconti se questo è il
risultato: duecento pagine di meraviglie. Sono le meraviglie del paesaggio,
prima di tutto. Ogni valle, ogni fiume, ogni cima ce la descrive come una
cartolina. Siamo accanto a Pietro ad ogni passo, abbiamo il suo mal di montagna
appena l'aria tende a rarefarsi, sbuchiamo dalla nebbia, salendo, e il sole ci
coglie in piena faccia, ci stupiamo insieme a lui della maestosità della
natura.
Le altre meraviglie sono quelle umane. Perché sebbene la
montagna sia la calamita, i personaggi di Cognetti ci gravitano intorno. Pietro
si allontana sempre, ma la sua base sicura è sicuramente lì, in mezzo al nulla,
nella sua casa con due grandi finestre come occhi sul lago. Lì riesce a
costruire forse l'unico legame davvero forte della sua vita, quello con Bruno,
un montanaro. Bruno è quello che resta, Pietro quello che torna. Il romanzo
gira attorno a questi due ragazzi, che piano piano si trasformano in uomini,
ognuno con il proprio carattere, ognuno con le proprie attitudini, ma entrambi
innamorati di un posto che ci viene
dipinto con purezza.
Inutile dire che mi ha fatto venire voglia di mollare tutto
e andarmene in montagna. Io che amo la vita comoda e detesto il freddo. Quando uno
scrittore riesce a trasmettere l'amore pagina dopo pagina, quando te lo inietta
nella mente, allora è un bravo scrittore. Come Paolo Cognetti.
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