Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

mercoledì 20 novembre 2013

Non abitiamo più qui, Andre Dubus

Sebbene non abbia trovato eccellente lo stile di Dubus- anzi, per certi versi ho visto le sue cadute come piccole trappole in cui avrei potuto cadere io stessa- non posso che parlar bene di questi tre racconti dello scrittore di short stories più acclamato dai suoi contemporanei, anche se non il più famoso, forse: Andre Dubus.
Lo stile prende le mosse dal suo amico e maestro Yeats in primo luogo, ma il maestro a cui si ispira è senza dubbio Checov, ripetutamente citato all’interno della raccolta e preso, secondo stesso figlio di Dubus, AndreIII, come mentore.
A Dubus interessava la libertà dello scrivere più che il tornaconto economico e questa è la cosa che più risulta chiara leggendo questo libro. Non c’è menzogna, ma solo una lunga  e profonda ispezione dell’animo umano, un continuo scavare e tentar di comprendere -senza peraltro arrivare a conclusioni moraliste- le dinamiche che legano e slegano i rapporti d’amore, che siano essi iscritti all’interno del matrimonio o al di fuori di esso.
I tre racconti ripercorrono la storia di due giovani coppie legate tra loro da amicizia e tradimenti. Quello che ho trovato stupefacente è la delicatezza con cui descrive le donne. T. Wolff, suo amico e collega, scrive nella postfazione che durante un festival della letteratura Dubus rischiò di impantanarsi in un discorso sul movimento femminista, dichiarando che l’unica cosa che era riuscito a creare era che adesso le donne potevano “indossare vestiti da uomini, prendere il treno per andare  a lavorare e dire bugie tutto il giorno”. Un’affermazione quantomeno pericolosa se non fosse per il fatto che Dubus trovava -e questo si legge in modo chiaro- le donne esseri dotati di “personalità migliori o perlomeno più interessanti degli uomini”, proprio perché non guastate dal continuo desiderio di potere, prerogativa da sempre del mondo maschile.
Consiglio di non tralasciare, se vi trovate questo libro tra le mani -e dovreste, almeno una volta nella vita- sia la prefazione (di N. Manupelli) che la postfazione  (di T. Wolff, per l’appunto).
Credo che questo libro mi abbia aiutato, indubbiamente senza volerlo, a raggiungere la consapevolezza di quello che amo leggere, ovvero il lento lavoro archeologico da parte di uno scrittore di ciò che sta dietro all’atto stesso del vivere.

Perché di storie fantastiche e favolose ne possiamo inventare a migliaia, ma per me non c’è niente che eguagli la meraviglia che provo di fronte alla vita stessa.

                                                          Non abitiamo più qui


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