Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

domenica 10 novembre 2013

Ho paura torero, Lemebel Pedro

Siamo a Santiago del Cile nella primavera del  1986. La città è sotto la dittatura di Pinochet, che i suoi seguaci chiamano governo militare. Sotto l'apparente calma, ribolle il Fronte patriottico di Manuel Rodrìguez, che lo stesso dittatore definisce “omuncoli, bambini viziati che recitano poesie d'amore e mitragliatrice”. Qui la Fata dell'angolo, un travestito passionale e amante del canto, eccellente ricamatore per le mogli dei generali del governo, si innamora perdutamente del giovane rivoluzionario Carlos, in cerca di un rifugio sicuro per le sue riunioni clandestine. E quale miglior rifugio della soffitta della casa della Fata, innegabilmente la meno sospetta? Per amore lei farà finta di non sapere, qualunque cosa pur di stagli accanto. Dall'altra parte c'è la voce dello stesso dittatore, ma specialmente quella dell'instancabile moglie, a fare da controcanto alla storia, evidenziando i punti di vista opposti e rendendo il libro una satira godibile.

Questo libro è una piccola opera teatrale, in linea con la passione di Lemebel. Il sipario si alza a casa della fatina, che si descrive come farebbe Lemebel stesso, in modo audace e ironico, da checca incallita. Il linguaggio è barocco, molto vivace, alcune volte sfiora l'osceno e in alcuni punti l'ho trovato vischioso, difficile da seguire, seppur in se stesso poetico. Potrei descriverlo come una danza sconosciuta che fatichi a seguire, ma se poi riesci a prenderci il ritmo diventa favolosa e dolcissima. La voce che ho preferito è indubbiamente quella della fatina che, come ho detto, si alterna a quella della moglie di Pinochet -queste parti le ho trovate un po' troppo forzatamente ironiche-, anche se devo ammettere che la scena del compleanno di Carlos –l’amante rivoluzionario-, una scena tenera e romantica, un punto di svolta per il libro in un certo senso, viene contrapposta in modo eccellente a quella del compleanno di Augusto a dieci anni -il dittatore.
L'amore si mescola alla rivolta, come un boa di struzzo colorato in mezzo alle macerie di Santiago. L'amore riduce la Fata “in fin di vita, come una carta velina impregnata dall'umidità del suo alito”. È l'amore consapevole della sua impossibilità, così struggente, a volte, da commuovere che trova nel finale l'unica soluzione degna di esistere.
Il viaggio della Fata e di Carlos in questo libro sono contrapposti: vanno l'uno nella direzione dell'altra senza però mai riuscire a toccarsi.
Ho amato molte espressioni utilizzate da Lemebel e le descrizioni sono quasi sempre sopraffine, ma si sente un po' di forzatura a tratti che personalmente non ho gradito.
Lo scambio finale tra Carlos e la sua improbabile amante è delicato e una delle parti migliori di tutto il libro. Poi il sipario si chiude, si accendono le luci e Lemebel ti riporta alla realtà, lasciandoci l'amaro in bocca leggendo le parole di Carlos:
“La mia fata, pensò. La mia fata inevitabile, la mia fata indimenticabile. La mia fata impossibile, dichiarò a voce bassa osservando il profilo esaltato dal verde azzurro di un riflesso dell'alta marea”.

Decisamente un libro che merita di essere letto.
                                                   


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