Casa della
Piazzetta, Pistoia, ore 21.00.
Siamo i primi
ad arrivare. I ragazzi stanno facendo le prove di collegamento Skype con New
York. Ci accomodiamo un po’ titubanti. La saletta è intima, sembra il salotto
di casa: un pianoforte a muro, una poltrona, cuscini rossi per terra. ci
sediamo sulle panche in attesa, osservando il buco nero sullo schermo.
Probabilmente
questa situazione intima –ma il termine che per primo mi viene in mente è friendly- sarebbe piaciuta a uno come
Wallace. Perché è di lui che si parla stasera. Del “vero” Wallace. O almeno ci
provano il suo biografo, D.T. Max – un’incredibile copia di Nicolas Cage-, e la
sua traduttrice in Italia -e direttore editoriale della Minimum fax-, Martina
Testa.
L’intervista inizia da qui: perché una biografia? La
domanda è solo apparentemente banale. Le biografie di solito non piacciono agli
scrittori che ne sono protagonisti: la cronologia della vita appiattisce la
persona, la riduce a un “ha fatto questo, poi quello…”, tendendo a spiegare le
sue opere attraverso le sue gesta. Va da sé che per un artista –e Wallace senza
dubbio lo era- tutto questo appare un po’ riduttivo.
In realtà
quello che Daniel Max ha cercato di fare è stato proprio l’opposto. Ridimensionarlo,
Wallace, come probabilmente lui stesso avrebbe voluto.
D. T. Max
parla di un rapporto teso con i propri lettori, del timore di lasciare che confondano
la sua opera con la sua persona. Parla di un rapporto inversamente
proporzionale: tanto più cresceva il suo successo, tanto più lui si allontanava
dal suo pubblico. Voleva relazionarsi con i suoi lettori SOLO attraverso i suoi
libri. Una cosa logica, per uno scrittore. Dato che la scelta di usare le
parole su carta spesso non è davvero una scelta, ma una necessità.
Precisa però
che non era affatto reticente alle relazioni umane, piuttosto a stare davanti a un pubblico e a partecipare
all'ambiente letterario. Era
semplicemente poco artificioso, al contrario di quello che potrebbe
sembrare attraverso le sue opere.
Il risultato
è quindi una figura complessa, certo. Ma,
precisa il suo biografo, quello che contava era dire la VERITA ’ sul suo conto.
Scoprire il suo lato umano. Ridimensionare il piedistallo. Perché dopotutto
è così facile mitizzare un artista non convenzionale, morto suicida –la lista
sarebbe qui infinita: da Curt Cobain a Merilyn Monroe, da Hemingway a quella
ancor più spettacolare di Mishima.
Molte sono le
note interessanti venute fuori da questa intervista. Come l' attenzione
alle parole, il senso del dovere nei confronti del testo, a cui sottoponeva
molte revisioni, la predilezione verbale per la fiction e lo snobbare
–volutamente- la propria non-fiction. La sofferenza infine che lo porta al suicidio. D.T.Max
ha parlato molto e con il sorriso sulle labbra mentre Martina Testa scriveva e
traduceva per noi – per tutta la sera non ho fatto altro che chiedermi in che
lingua stesse scrivendo su quei fogli.
“Ogni storia
d’amore è una storia di fantasmi” è il titolo della biografia. E di fantasmi però non sembra raccontare. Forse in quella saletta intima non c’era posto per loro, ma solo per i
grandi sorrisi di chi, anche se per poco, ha incrociato la propria vita con quella di un grande scrittore come Wallace.
Me ne vado
anche io con il sorriso sulle labbra e un suo libro sotto il braccio: “Questa è
l’acqua”, ovvio.
Cosa sapevo
di Wallace prima di questo piccolo e caldo incontro? Beh, quasi nulla. Avevo
alle spalle solo una raccolta di racconti, “La ragazza dai capelli strani” e qualche intervista letta qui e là.
E ora? La
sensazione che mi ha lasciato si riassume in poche righe, dello stesso Wallace,
tratte da “Interviste a uomini schifosi”.
Non si sa
mai, in fondo… o invece no.
“Quando vennero presentati, lui fece una
battuta, sperando di piacere. Lei rise a crepapelle, sperando di piacere. Poi
se ne tornarono a casa in macchina, ognuno per conto suo, lo sguardo fisso
davanti a sé, la stessa identica smorfia sul viso. A quello che li aveva
presentati nessuno dei due piaceva troppo, anche se faceva finta di sì, visto
che ci teneva tanto a mantenere sempre buoni rapporti con tutti. Sai, non si sa
mai, in fondo, o invece sì, o invece sì”.
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