Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

giovedì 31 ottobre 2013

Festival Arca Puccini, Pistoia. "Questa è l'acqua", David Foster Wallace: intervista a D.T.Max

Casa della Piazzetta, Pistoia, ore 21.00.
Siamo i primi ad arrivare. I ragazzi stanno facendo le prove di collegamento Skype con New York. Ci accomodiamo un po’ titubanti. La saletta è intima, sembra il salotto di casa: un pianoforte a muro, una poltrona, cuscini rossi per terra. ci sediamo sulle panche in attesa, osservando il buco nero sullo schermo.
Probabilmente questa situazione intima –ma il termine che per primo mi viene in mente è friendly- sarebbe piaciuta a uno come Wallace. Perché è di lui che si parla stasera. Del “vero” Wallace. O almeno ci provano il suo biografo, D.T. Max – un’incredibile copia di Nicolas Cage-, e la sua traduttrice in Italia -e direttore editoriale della Minimum fax-, Martina Testa.
L’intervista  inizia da qui: perché una biografia? La domanda è solo apparentemente banale. Le biografie di solito non piacciono agli scrittori che ne sono protagonisti: la cronologia della vita appiattisce la persona, la riduce a un “ha fatto questo, poi quello…”, tendendo a spiegare le sue opere attraverso le sue gesta. Va da sé che per un artista –e Wallace senza dubbio lo era- tutto questo appare un po’ riduttivo.
In realtà quello che Daniel Max ha cercato di fare è stato proprio l’opposto. Ridimensionarlo, Wallace, come probabilmente lui stesso avrebbe voluto.
D. T. Max parla di un rapporto teso con i propri lettori, del timore di lasciare che confondano la sua opera con la sua persona. Parla di un rapporto inversamente proporzionale: tanto più cresceva il suo successo, tanto più lui si allontanava dal suo pubblico. Voleva relazionarsi con i suoi lettori SOLO attraverso i suoi libri. Una cosa logica, per uno scrittore. Dato che la scelta di usare le parole su carta spesso non è davvero una scelta, ma una necessità.
Precisa però che non era affatto reticente alle relazioni umane, piuttosto  a stare davanti a un pubblico e a partecipare all'ambiente letterario.  Era semplicemente  poco artificioso, al contrario di quello che potrebbe sembrare attraverso le sue opere.
Il risultato è quindi una figura complessa, certo.  Ma, precisa il suo biografo, quello che contava era dire la VERITA’ sul suo conto. Scoprire il suo lato umano. Ridimensionare il piedistallo. Perché dopotutto è così facile mitizzare un artista non convenzionale, morto suicida –la lista sarebbe qui infinita: da Curt Cobain a Merilyn Monroe, da Hemingway a quella ancor più spettacolare di Mishima.
Molte sono le note interessanti venute fuori da questa intervista. Come l' attenzione alle parole, il senso del dovere nei confronti del testo, a cui sottoponeva molte revisioni, la predilezione verbale per la fiction e lo snobbare –volutamente- la propria non-fiction. La sofferenza infine che lo porta al suicidio. D.T.Max ha parlato molto e con il sorriso sulle labbra mentre Martina Testa scriveva e traduceva per noi – per tutta la sera non ho fatto altro che chiedermi in che lingua stesse scrivendo su quei fogli.
Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi” è il titolo della biografia. E di fantasmi però non sembra raccontare. Forse in quella saletta intima non c’era posto per loro, ma solo per i grandi sorrisi di chi, anche se per poco, ha incrociato la propria vita con quella di un grande scrittore come Wallace.
Me ne vado anche io con il sorriso sulle labbra e un suo libro sotto il braccio: “Questa è l’acqua”, ovvio.
Cosa sapevo di Wallace prima di questo piccolo e caldo incontro? Beh, quasi nulla. Avevo alle spalle solo una raccolta di racconti, “La ragazza dai capelli strani” e qualche intervista letta qui e là.
E ora? La sensazione che mi ha lasciato si riassume in poche righe, dello stesso Wallace, tratte da “Interviste a uomini schifosi”.
Non si sa mai, in fondo… o invece no.


 Quando vennero presentati, lui fece una battuta, sperando di piacere. Lei rise a crepapelle, sperando di piacere. Poi se ne tornarono a casa in macchina, ognuno per conto suo, lo sguardo fisso davanti a sé, la stessa identica smorfia sul viso. A quello che li aveva presentati nessuno dei due piaceva troppo, anche se faceva finta di sì, visto che ci teneva tanto a mantenere sempre buoni rapporti con tutti. Sai, non si sa mai, in fondo, o invece sì, o invece sì”.


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