Sono giorni
che ho in mente questa cosa dei racconti, che ho voglia di scriverci qualcosa
su. Ma non riuscivo a trovare il filo giusto. Scrivevo due righe e poi: vuoto.
Poi ieri ecco
lì la notizia del Nobel a Alice Munro,
una delle scrittrici che più ho amato.
Prima volta
per una scrittrice di racconti, si dice in giro.
E la molla è scattata.
Il racconto
non vende, mi disse il mio insegnante di scrittura uno dei nostri primi
incontri. E io chiesi: perché? Sono ancora qui a chiedermelo. Fosse per me, il
mercato editoriale avrebbe altri autori da spingere…
Amo i
racconti: amo leggerli e scriverli. Sono la forma narrativa che ritengo più si
avvicini alla perfezione.
Tabucchi ne parlava come di “una misura molto bella. Il romanzo è disponibile, lo si può cominciare
e poi lasciare, è come avere una casa propria. Il racconto è un appartamento in
affitto: se uno se ne va lo perde”.
E questo è
vero sia per lo scrittore che per il lettore. Come diceva Fitzgerald il racconto si scrivono meglio in “due, tre botte, secondo la lunghezza”. Nello stesso modo si
leggono.
Ed è il
motivo per cui è una delle forme preferite da alcuni scrittori. La stessa Munro afferma che non aveva intenzione
di diventare una scrittrice di racconti:
“Cominciai a scrivere racconti perché non
avevo tempo di scrivere nient'altro, avevo tre bambine, e per via del mio
lavoro da casalinga. Non ho mai avuto un anno in cui lavorare alla stessa cosa”.
Pressappoco lo stesso dice Carver, che afferma di aver iniziato a
scrivere racconti per circostanze della vita:
“Ero
molto giovane. Mi sono sposato a diciotto anni. Mia moglie ne aveva diciassette
ed era incinta. Non avevo neanche un soldo, dovevamo lavorare giorno e notte e
crescere i nostri due bambini. Dovevo anche andare al college a lezioni di
scrittura e mi era impossibile iniziare qualcosa che mi avesse portato via due
o tre anni. Così mi decisi a scrivere poesie e racconti. Potevo sedermi ad un
tavolo, iniziare qualcosa e finirla in un’unica seduta“.
Anche Tabucchi dice che scrivere racconti è “una lotta contro il tempo. E ha bisogno di un lavoro di oreficeria”.
Anche Tabucchi dice che scrivere racconti è “una lotta contro il tempo. E ha bisogno di un lavoro di oreficeria”.
Niente di più
vero. Di un racconto (ben scritto) è la precisione dell’intreccio a farne un
tessuto unico. È un cerchio di Giotto, senza sbavature.
Senza
arrivare all’affermazione di Bierce –Un romanzo: un racconto gonfiato-, posso
però affermare che il racconto, sul piano narrativo, non ruba nulla al romanzo.
Tutt’altro.
Flannery O’Connor affermava che “breve non vuol dire inconsistente. Seppur breve, un racconto deve
svilupparsi in profondità e trasmettere una pienezza di significato”.
Il fascino
che continuano a suscitarmi i racconti credo che non calerà mai. Sono un’attrattiva
unica, una giostra in continuo movimento. Un palcoscenico perfetto per
presentare quello che la O ’Connor
chiamava il mistero della personalità.
E in questo la Munro è stata indubbiamente
una delle migliori.
Dopotutto, è
lei stessa a dire:
“Voglio che la scrittura mostri come sono complicate le cose e
sorprendenti. Voglio emozionare i lettori, ma senza trucchi. Voglio che pensino
sì, quella è vita. Perché è la reazione che ho io di fronte alla scrittura che
ammiro di più. Una sorta di meraviglioso
sbalordimento”.
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