Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

domenica 20 ottobre 2013

Scogliera, Olivier Adam

Da dove nasca un romanzo, se dalla realtà o dalla finzione, ai fini del romanzo stesso poco importa. Se il romanzo funziona, funziona. E viceversa. Quindi non è la componente autobiografica di Scogliera che prenderò in considerazione, adesso che mi accingo a scrivere una di quelle che io mi ostino a chiamare recensioni. Perché nel mio concetto di narrativa non è mai quello che accade, ma come è stato scritto. Va detto che seguo una scuola molto precisa.
Questo di Olivier Adam è un romanzo che potrei giudicare per punti a favore e punti a sfavore, una cosa che generalmente non faccio. Ma qui mi sembra necessario, perché, se da una parte mi ha deluso, dall'altra invece mi ha coinvolto, come in precedenza hanno fatto i suoi racconti.
Procedere come se scrivessi un catalogo non è poi molto bello, ma in questo caso non è una scelta del tutto casuale.
Inizio con i punti a sfavore.
1.          La disperazione, la morte, la sofferenza sono troppo presenti. Bagnano ogni foglio, rendendolo pesante perfino da girare. In centocinquanta pagine si suicidano tre persone care al protagonista. La madre –il suo suicidio darà inizio alle inevitabili conseguenze disastrose della sua vita-, uno dei migliori amici di suo fratello Antoine, Nicolas, e infine Lèa, una delle donne di cui si innamora. Tutti gli altri protagonisti annegano nell'alcool, vengono consumati da tumori nel silenzio e nella solitudine, rischiano di morire di anoressia. Solo per citarne alcuni. Ora, io non sono affatto per il lieto fine e l’allegria forzata, amo Carver e le sue short stories depressive, ma qui la concentrazione di fantasmi –ciò che realmente sono nel romanzo- è forse eccessiva  e appare un filino forzata. È una lunga lista di lapidi. Molto lunga per un ragazzo di trentuno anni. Anche la realtà –se di realtà si tratta- risulta troppo pesante se concentrata in centocinquanta pagine.
2.          Alcuni personaggi secondari sono costruiti secondo cliché fin troppo evidenti, come Nicholas o Lorette.
3.          La morte di Lèa è un trucchetto che Carver definirebbe da quattro soldi. Nomina la sua morte sin dai primi capitoli e poi ce la ripropone spesso, senza accennare ad altro se non al nome. È solo negli ultimi capitoli che ci dice chi è e cosa è successo. Cerca quindi di creare questo tipo di tensione per incollare il lettore alle pagine spingendolo a chiedersi: chi è Lèa? Come sarà morta? Ma poi si gioca tutto in poche pagine. Non ce ne spiega fino in fondo l’importanza, se ce ne è una. Il trucco del mago è svelato, si vede lo specchio e la magia…beh, non è più magia. Peccato.
4.          Usa in quasi tutti i capitoli degli elenchi infiniti. In particolare, il capitolo su Lorette è quasi un album fotografico: uno scatto dietro l’altro. La cosa a me piace, beninteso, ma andrebbe centellinata, mentre lui se ne approfitta, spezzando la prosa fin troppe volte, rendendola una di quelle danze robotiche che andavano tanto negli anni ottanta. Stona con la sua particolare voce malinconica, che avrebbe bisogno di più descrizioni, di una prosa più rilassata e di meno...elenchi.

Dall'altra parte dello specchio giocano le stelline e i pollici alzati.
1.        A tratti usa delle belle immagini. E le descrizioni del mare, delle scogliere, della moglie e della figlia che giacciono addormentate l’una accanto all’altra, sono dolci, calde, sincere. Ci sono frasi che mi hanno colpito, come ad esempio “il sole che gli morde la guancia” mentre dorme in auto o la figura della nonna che “affiora e si stende su tutto come un balsamo”. Solo per scriverne alcune.
2.        I sentimenti per Claire –moglie- e per Chloè –figlia- sono belli, puri, onesti, senza troppi sentimentalismi. Le rende reali e vivide, sebbene stiano dietro il palco per tutto il tempo.
3.        La sua voce mi piace. Mi piace molto. È come se la sentissi profonda e stanca, ma capace di raccontarti ancora mille storie prima di dormire. È una voce che è un abbraccio. Ed è una voce che vorresti abbracciare.
4.        La trama in sé, l’idea di ripercorrere l’ infanzia e l’adolescenza attraverso i suoi fantasmi, che talvolta vede davvero come quello della madre, è molto buona. Un romanzo-ricordo, che si spalma sul presente e influenza il futuro. Una domanda che nasce dal profondo –come ho fatto a sopravvivere?, come ho fatto a rimarne sempre in equilibrio e non cadere tanto da uccidermi?
L’ultimo capitolo è molto appassionato e, anche grazie all'anafora, fa chiudere le pagine con un certo dispiacere.

Mi resta in bocca un sensazione strana, indefinita. Come qualcosa di gustoso che è stato mal cucinato.
Posso sempre attendere di leggere gli altri suoi romanzi. E vediamo stavolta come va…

                                          Scogliera



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