L’uno è giornalista e scrittore, l’altro uno
psicologo. L’uno insegna Teoria della creatività ala IULM, l’altro
psicopatologia del comportamento alimentare all’università di Pavia. Il loro
punto in comune è forse che entrambi scrivono per le pagine di Repubblica. La
loro conferenza svoltasi sabato 31 Agosto a Sarzana giocava con queste due
parole, ripetute spesso: eredità o creatività? Come poter conciliare la
creatività, concepita come forza innovatrice e origini lare, con l’eredità?
La parola la prende Bartezzaghi per
primo, mostrandoci tre scene.
La prima è un’eredità fallita, quella che Gates ha
lasciato a Ballmer. L’uscita di Ballmer dalla Microsoft fa sbizzarrire i
giornali proprio con queste parole: creatività, innovazione, eredità. Gates
torna per cercare un nuove erede; Ballmer ha fallito sul fronte della
creatività, dell’innovazione e della capacità di sorprendere. Questo per dirci
che la creatività va molto oltre i soli campi artistici. A questo proposito
cita anche una piccola anticipazione: nel PIL americano verrà introdotta
proprio la parola Creatività. Con la conseguenza che le spese per la cultura
diventeranno investimenti. Non male come concetto.
La seconda scena è un’eredità fonte di
controversie, quella di Lucio Battisti. Recentemente la Corte d’appello di
Milano ha ribaltato la sentenza con la quale il Tribunale di Milano aveva
vietato che si organizzasse, contro il parere della famiglia Battisti, una
festa in ricordo del cantante. Questo per dirci che l’eredità è difficile da
gestire anche dal punto di vista giuridico.
L’ultima scena riguarda la
mitologia della creatività, o meglio la condivisione della creatività. A questo proposito ricorda
una scena del film Fame, quella in cui un taxi, con a bordo il padre di uno dei
ragazzi, che blocca la strada nel tentativo di far ascoltare e promuovere la
canzone del figlio -che sarà poi la colonna sonora del film, appunto.
E la strada si scatena, tutti scendono a ballare.
Esplode la creatività a contatto con la creatività. Lo stesso padre fa un gesto
creativo a favore della creatività. Che quindi arriva per contagio. Scende come
filiazione.
Si arriva dunque alla domanda clou della
conferenza: si è eredi o creativi? L’uno esclude l’altro?
La parola passa a Recalcati, che
ci spiega come non possa esistere la creatività senza eredità. Nessuno parte da
un foglio bianco per dipingere. A questo proposito fa l’esempio di Burri,
artista e pittore italiano che introduce nella pittura sabbia, muffa e sacchi
di iuta, come riferimento ai sacchi francescani. Si è dunque creativi solo se
assumiamo completamente la consapevolezza dell’eredità.
Non è sempre stato così. La mitologia della
creatività ha visto altre fasi. Una di queste è la fase della
clonazione, ovvero assenza di creatività e discendenza passiva. La risposta
al comando. L’accettazione come fedeltà verso i padri. Il padre schiacciava al
problema dell’eredità solo la riproduzione esatta di ciò che aveva fatto. Con
conseguenti destini infelici dei figli.
L’altra fase è seguita al movimento del
sessantotto. Ed è il suo opposto. La fase della rottura di ogni legame
con i padri, il rifiuto di ogni affiliazione, bisogna creare dal nulla e
essere genitori di noi stessi. Ma la creatività non si auto genera. Non c’è
modo di farsi da sé.
Tra queste due false vie, ce
ne è una terza che è quella di Telemaco. Recalcati lo chiama il giusto erede.
Telemaco non vuole la morte del padre. In questo senso è il rovescio di Edipo.
Non entra in antagonismo con lui, ma si allea. Non resta nemmeno solo ad
attendere, come invece fanno i barboni con Godot, ma si mette in viaggio e
incontra il padre. La differenza sta proprio nel viaggio. È il viaggio di
Telemaco che salverà la situazione.
Quindi ogni vero erede, conclude, è orfano, perché
nessun genitore può preparare i figli alla vita. Ognuno di noi è obbligato
a reinventarsi.
Bartezzaghi continua parlandoci di
ciò che si deve intendere con creatività. La cultura di massa ci fa credere che
l’innovazione stia solo in superficie e non nel profondo. A tal proposito cita
Giorgio Morandi, il pittore delle nature morte -bottiglie, per lo più. Il suo
ripetere sempre lo stesso soggetto non è indice di assenza di creatività.
L’effetto, la capacità di stupire, a volte porta a una cattiva interpretazione
della creatività.
Quindi la creatività non si nutre del nuovo, perché
non esiste mai il nuovo completo, piuttosto ha la faccia dello stesso. Ogni
volta lo stesso, ogni volta nuovo. Quindi si pone nel mezzo: la
creatività oscilla tra la memoria e l’oblio.
Passa quindi a parlare delle generazioni e del
concetto stesso, che secondo lui è degenerato, anche a causa della rapidità con
cui si muove il mondo. E sostiene, ancora, che ci sia un po’ di nebbia sul
discorso generazionale. I genitori tendono a rifiutare l’invecchiamento e ad
assomigliare ai figli, non assumendo il loro ruolo di adulti -cioè colore che
dovrebbero sforzarsi di tenere rapporto tra ciò che si dice e ciò che si fa.
La conferenza termina con alcune riflessioni sul
metodo migliore per diffondere la creatività.
La trasmissione del sapere è oggi molto forte, ma
non coincide spesso con la trasmissione del desiderio. Il che è un problema.
Perché, abbiamo detto, la creatività si trasmette per contagio. Quindi se c’è
desiderio- personalmente preferisco chiamarla passione, ma fa lo stesso -c’è
anche la trasmissione, che porta alla creatività.
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