Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

lunedì 2 settembre 2013

Festival della Mente, Sarzana 2013. Incontro tra S. Bartezzaghi e M. Racalcati.

L’uno è giornalista e scrittore, l’altro uno psicologo. L’uno insegna Teoria della creatività ala IULM, l’altro psicopatologia del comportamento alimentare all’università di Pavia. Il loro punto in comune è forse che entrambi scrivono per le pagine di Repubblica. La loro conferenza svoltasi sabato 31 Agosto a Sarzana giocava con queste due parole, ripetute spesso: eredità o creatività? Come poter conciliare la creatività, concepita come forza innovatrice e origini lare, con l’eredità?
La parola la prende Bartezzaghi per primo, mostrandoci tre scene.
La prima è un’eredità fallita, quella che Gates ha lasciato a Ballmer. L’uscita di Ballmer dalla Microsoft fa sbizzarrire i giornali proprio con queste parole: creatività, innovazione, eredità. Gates torna per cercare un nuove erede; Ballmer ha fallito sul fronte della creatività, dell’innovazione e della capacità di sorprendere. Questo per dirci che la creatività va molto oltre i soli campi artistici. A questo proposito cita anche una piccola anticipazione: nel PIL americano verrà introdotta proprio la parola Creatività. Con la conseguenza che le spese per la cultura diventeranno investimenti. Non male come concetto.
La seconda scena è un’eredità fonte di controversie, quella di Lucio Battisti. Recentemente la Corte d’appello di Milano ha ribaltato la sentenza con la quale il Tribunale di Milano aveva vietato che si organizzasse, contro il parere della famiglia Battisti, una festa in ricordo del cantante. Questo per dirci che l’eredità è difficile da gestire anche dal punto di vista giuridico.
L’ultima scena riguarda la mitologia della creatività, o meglio la condivisione della creatività. A questo proposito ricorda una scena del film Fame, quella in cui un taxi, con a bordo il padre di uno dei ragazzi, che blocca la strada nel tentativo di far ascoltare e promuovere la canzone del figlio -che sarà poi la colonna sonora del film, appunto.
E la strada si scatena, tutti scendono a ballare. Esplode la creatività a contatto con la creatività. Lo stesso padre fa un gesto creativo a favore della creatività. Che quindi arriva per contagio. Scende come filiazione.

Si arriva dunque alla domanda clou della conferenza: si è eredi o creativi? L’uno esclude l’altro?

La parola passa a Recalcati, che ci spiega come non possa esistere la creatività senza eredità. Nessuno parte da un foglio bianco per dipingere. A questo proposito fa l’esempio di Burri, artista e pittore italiano che introduce nella pittura sabbia, muffa e sacchi di iuta, come riferimento ai sacchi francescani. Si è dunque creativi solo se assumiamo completamente la consapevolezza dell’eredità.
Non è sempre stato così. La mitologia della creatività ha visto altre fasi. Una di queste è la fase della clonazione, ovvero assenza di creatività e discendenza passiva. La risposta al comando. L’accettazione come fedeltà verso i padri. Il padre schiacciava al problema dell’eredità solo la riproduzione esatta di ciò che aveva fatto. Con conseguenti destini infelici dei figli.
L’altra fase è seguita al movimento del sessantotto. Ed è il suo opposto. La fase della rottura di ogni legame con i padri, il rifiuto di ogni affiliazione, bisogna creare dal nulla e essere genitori di noi stessi. Ma la creatività non si auto genera. Non c’è modo di farsi da sé.
Tra queste due false vie, ce ne è una terza che è quella di Telemaco. Recalcati lo chiama il giusto erede. Telemaco non vuole la morte del padre. In questo senso è il rovescio di Edipo. Non entra in antagonismo con lui, ma si allea. Non resta nemmeno solo ad attendere, come invece fanno i barboni con Godot, ma si mette in viaggio e incontra il padre. La differenza sta proprio nel viaggio. È il viaggio di Telemaco che salverà la situazione.
Quindi ogni vero erede, conclude, è orfano, perché nessun genitore può preparare i figli alla vita. Ognuno di noi è obbligato a  reinventarsi.

Bartezzaghi continua parlandoci di ciò che si deve intendere con creatività. La cultura di massa ci fa credere che l’innovazione stia solo in superficie e non nel profondo. A tal proposito cita Giorgio Morandi, il pittore delle nature morte -bottiglie, per lo più. Il suo ripetere sempre lo stesso soggetto non è indice di assenza di creatività. L’effetto, la capacità di stupire, a volte porta a una cattiva interpretazione della creatività.
Quindi la creatività non si nutre del nuovo, perché non esiste mai il nuovo completo, piuttosto ha la faccia dello stesso. Ogni volta lo stesso, ogni volta nuovo. Quindi si pone nel mezzo: la creatività oscilla tra la memoria e l’oblio.
Passa quindi a parlare delle generazioni e del concetto stesso, che secondo lui è degenerato, anche a causa della rapidità con cui si muove il mondo. E sostiene, ancora, che ci sia un po’ di nebbia sul discorso generazionale. I genitori tendono a rifiutare l’invecchiamento e ad assomigliare ai figli, non assumendo il loro ruolo di adulti -cioè colore che dovrebbero sforzarsi di tenere rapporto tra ciò che si dice e ciò che si fa.
La conferenza termina con alcune riflessioni sul metodo migliore per diffondere la creatività.
La trasmissione del sapere è oggi molto forte, ma non coincide spesso con la trasmissione del desiderio. Il che è un problema. Perché, abbiamo detto, la creatività si trasmette per contagio. Quindi se c’è desiderio- personalmente preferisco chiamarla passione, ma fa lo stesso -c’è anche la trasmissione, che porta alla creatività.












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