Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

sabato 14 settembre 2013

James Hillman, Puer Aeternus -riflessioni sull'ambivalenza-

Ho conosciuto James Hillman. L’ho conosciuto e me ne sono innamorata. Questo, per chi avesse letto i suoi saggi, non sarà forse una sorpresa. Forse.
C’è chi lo definisce il poeta dell’anima. Non a torto: il suo pensiero si costruisce attraverso la poesia delle immagini. Questo è evidente leggendo anche uno solo dei suoi scritti. Per me è stato il Puer Aeternus.
Non c’è veramente nulla che io possa dire che non è già stato detto. E non è certo per questo che lascio queste righe. Ma le parole di Hillman, esattamente come la poesia, si stratificano nei recessi più profondi di noi. E lì restano.
Non dà ricette, Hillman. Non espone casi clinici. Il suo è un tentativo di spostare i nostri occhi, sempre così attaccati alle consuetudini della realtà, verso un modo nuovo di osservare noi stessi. E lo fa attraverso gli archetipi, cioè la radice del mito. Solo attraverso questi sarà per noi possibile “spiegarci” e ricostruire il rapporto con la realtà. O, come lui stesso dice, il “fare anima”.
E a cosa ci serve, “fare anima”? Siamo scissi, ci dice. Lacerati. Questa lacerazione provoca in noi sofferenza. Non solo, anche quelle che la psicanalisi –così lontana, per certi versi, dal suo pensiero- chiama patologie. Ed è quindi l’anima l’unica che può connettere le nostre metà scisse, portandoci dentro quel “continuo albeggiare” che è poi la luce con la quale dovremmo vedere la nostra esistenza. Ma oggi l’anima  soffre, soppiantata dall’Io, che è divenuto centro della nostra personalità. Un Io che non tollera la tensione dell’ambivalenza. Ma l’ambivalenza, afferma ancora, è naturale, è “la reazione adeguata a una psiche integra”. Certo non è facile reggere questo tipo di equilibrio, proprio perché perennemente in tensione. Ma “sopportare l’ambivalenza”, come lui stesso scrive, è l’unica via, perché “ciò che non è scisso, non ha bisogno di essere ricongiunto”.
Ecco che qui, magari, una ricettina avrebbe fatto comodo. Ma, ovvio, non si può. Negli ultimi anni della sua vita, Hillman lascia la strada della terapia a due, per tentare la strada della diffusione di questo pensiero.
Ci lascia parole da vero poeta. Moltissime. Tra tutte, per chiudere, io ho scelto queste:
Non c’è giorno né notte, semmai un albeggiare continuo”.

Quel che è certo è che tornerò a leggerlo. Difficilmente sono rimasta tanto affascinata da un pensiero che, senza sbagliare, posso definire filosofico.

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