Leggo in giro
che in un blog bisogna metterci la faccia. Magari non nel senso stretto del
termine –o forse sì? Piuttosto è necessario e onesto esprimere le proprie
opinioni. Pare tutto logico. È ovvio: scrivi tu, opinioni tue. Eppure.
Eppure a
volte mi trovo in difficoltà.
Questo è il
secondo tentativo che faccio con Mutis dall’inizio dell’estate. Sempre con lo
stesso libro, La Neve
dell’Ammiraglio. E la mia mente crea queste parole: “non ci entro”, “non fa per
me”, “ma chi sono io per dirlo?”
Di nuovo: eppure.
Eppure non ci
entro, non fa per me. Ma chi sono io per dirlo?
Provo quindi
con una premessa: mi piacciono le lasagne. Ma in estate preferisco il riso
freddo. Allora magari questo libro per me è come un piatto di lasagne servite
in estate. Perché le basi ci sono tutte, qui: c’è un viaggio simbolico –ma
quale viaggio in letteratura non lo è?; c’è un protagonista malinconico; una
meta misteriosa; i pericoli del viaggio; un ritorno agognato e pieno di
afflizione; descrizioni meravigliose; uno stile poetico… leggo frasi come
questa e rimango affascinata: “Stiamo uscendo dall’umidità filacciosa della
selva, che indebolisce i sensi e distorce ogni suono, odore o forma si tenti di
percepire”.
Malgrado ciò,
mentre il protagonista, Maqroll il Gabbiere, compie il suo viaggio su una
singolare imbarcazione, accompagnato da personaggi ancora più singolari, io
stessa viaggio attraverso la selva delle sue parole e mi sfugge il “tutto”. E
questo “tutto”, alla fine, sbiadisce. Sbiadiscono i ricordi di Maqroll, le
bellissime parole malinconiche di Capi –il Capitano-, gli ammonimenti del
Maggiore. Così come, nel libro, sbiadisce la locanda, la Neve dell’Ammiraglio,
appunto, che Maqroll troverà così:
“Il
cartello, dal quale si erano staccate diverse lettere, dondolava al vento da un
chiodo arrugginito. Tutto era sprangato da dentro: porte, finestre e imposte.
Mancavano già molti vetri e la costruzione minacciava di crollare da un momento
all’altro”.
Magari il mio
non vedere il “tutto” è esattamente ciò che Mutis voleva: dare il senso di
un’interminabile deriva.
In ogni caso
non posso fermarmi qui, con Mutis. Credo di avere ancora da leggere, di suo,
prima di fermarmi. Andando dietro al consiglio dello stesso Gabbiere che, in
una parte della sua preghiera, recita:
“Segui le navi. Segui le rotte che solcano
le logore e tristi imbarcazioni. Non ti fermare. Evita persino il più umile
ancoraggio. Risali i fiumi. Discendi i fiumi. Confonditi nelle piogge che
inondano le pianure. Rifiuta ogni sponda”.
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