Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

domenica 22 settembre 2013

La Neve dell'Ammiraglio, Alvaro Mutis

Leggo in giro che in un blog bisogna metterci la faccia. Magari non nel senso stretto del termine –o forse sì? Piuttosto è necessario e onesto esprimere le proprie opinioni. Pare tutto logico. È ovvio: scrivi tu, opinioni tue. Eppure.
Eppure a volte mi trovo in difficoltà.
Questo è il secondo tentativo che faccio con Mutis dall’inizio dell’estate. Sempre con lo stesso libro, La Neve dell’Ammiraglio. E la mia mente crea queste parole: “non ci entro”, “non fa per me”, “ma chi sono io per dirlo?”
Di nuovo: eppure.
Eppure non ci entro, non fa per me. Ma chi sono io per dirlo?
Provo quindi con una premessa: mi piacciono le lasagne. Ma in estate preferisco il riso freddo. Allora magari questo libro per me è come un piatto di lasagne servite in estate. Perché le basi ci sono tutte, qui: c’è un viaggio simbolico –ma quale viaggio in letteratura non lo è?; c’è un protagonista malinconico; una meta misteriosa; i pericoli del viaggio; un ritorno agognato e pieno di afflizione; descrizioni meravigliose; uno stile poetico… leggo frasi come questa e rimango affascinata: “Stiamo uscendo dall’umidità filacciosa della selva, che indebolisce i sensi e distorce ogni suono, odore o forma si tenti di percepire”.
Malgrado ciò, mentre il protagonista, Maqroll il Gabbiere, compie il suo viaggio su una singolare imbarcazione, accompagnato da personaggi ancora più singolari, io stessa viaggio attraverso la selva delle sue parole e mi sfugge il “tutto”. E questo “tutto”, alla fine, sbiadisce. Sbiadiscono i ricordi di Maqroll, le bellissime parole malinconiche di Capi –il Capitano-, gli ammonimenti del Maggiore. Così come, nel libro, sbiadisce la locanda, la Neve dell’Ammiraglio, appunto, che Maqroll troverà così:
Il cartello, dal quale si erano staccate diverse lettere, dondolava al vento da un chiodo arrugginito. Tutto era sprangato da dentro: porte, finestre e imposte. Mancavano già molti vetri e la costruzione minacciava di crollare da un momento all’altro”.
Magari il mio non vedere il “tutto” è esattamente ciò che Mutis voleva: dare il senso di un’interminabile deriva.
In ogni caso non posso fermarmi qui, con Mutis. Credo di avere ancora da leggere, di suo, prima di fermarmi. Andando dietro al consiglio dello stesso Gabbiere che, in una parte della sua preghiera, recita:

Segui le navi. Segui le rotte che solcano le logore e tristi imbarcazioni. Non ti fermare. Evita persino il più umile ancoraggio. Risali i fiumi. Discendi i fiumi. Confonditi nelle piogge che inondano le pianure. Rifiuta ogni sponda”.

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